April is the cruellest month, breedingLilacs out of the dead land, mixingMemory and desire, stirringDull roots with spring rain.Winter kept us warm, coveringEarth in forgetful snow, feedingA little life with dried tubers.–Aprile è il mese più crudele:
Genera lillà dalla terra sterile,
Confonde memoria e desiderio,
Risveglia radici torpide
Con pioggia primaverile.
Ci tenne caldi il freddo inverno:
Velato il suolo in oblio di neve,
Nutriva un filo di vita con tuberi secchi.-Thomas Stearns Eliot, The Waste Land, 1922
Aprile è il mese più crudele: inizia con questa sentenza da sapore amaro il poema di Thomas Stearns Eliot The Waste Land, noto al pubblico italiano con il titolo La terra desolata. Si tratta dell’opera più celebrata del poeta ma anche di uno dei poemi più importanti e influenti del Novecento. Tortuoso, denso e appassionato almeno quanto la storia della sua stessa genesi, il poemetto di appena 433 versi di T. S. Eliot è considerato da molti il capolavoro della corrente poetica modernista, spesso in associazione ai Cantos (1917-1970) di Ezra Pound e all’Ulisse (1922) di James Joyce.
Infatti, dopo oltre un anno di scrittura caotica, quasi febbrile, Eliot terminò di comporre The Waste Land nel corso delle cinque settimane trascorse in una casa di cura a Losanna a cavallo tra 1921 e 1922, nella quale era stato ricoverato a seguito di un grave esaurimento nervoso che lo aveva ridotto in una stato di abulia e profonda crisi psicologica e interiore. Se l’opera vide la luce, inoltre, lo si deve in gran parte alla massiccia revisione che ne fece l’amico Ezra Pound, che dimezzò all’incirca il volume del manoscritto di Eliot.
L’eterno ciclo di morte e rinascita
Quasi come una sinfonia, il poema si divide in cinque sezioni diverse, ognuna delle quali dialoga con le altre ma, al tempo stesso, se ne discosta mantenendo una propria autonomia intrinseca. La prima sezione, intitolata La sepoltura dei morti apre l’intero poema con un’immagine primaverile. Non si tratta, però, di una primavera gioiosa all’insegna del risveglio della vita né di una stagione tiepida e soleggiata che ridesta la natura dal torpore invernale: è un aprile crudele, il più crudele di tutti i mesi, che strappa l’uomo dalla propria condizione di letargo ponendolo davanti all’infinito ciclo di morte e rinascita.
Quest’uomo che non si vuole svegliare è l’abitante della terra desolata, l’uomo moderno dell’Europa tra Ottocento e Novecento, smarrito in un groviglio arido e perverso di guerre, avidità e peccato, cui fa eco il miscuglio di voci e di lingue diverse che si accavallano nella narrazione all’interno del testo, come una torre di Babele il cui unico destino possibile è quello di crollare. Ma in questo ginepraio appaiono e scompaiono, lasciando una traccia, alcuni simboli religiosi e profetici che sembrano avvertire il lettore che un’altra strada è possibile.
Nelle sezioni a seguire Una partita a scacchi, Il sermone del fuoco, La morte per acqua e Ciò che disse il tuono, la simbologia primaverile viene continuamente rievocata, ora in connessione ai riti della fertilità descritti nell’opera di antropologia Il ramo d’oro (1890) di James Frazer, ora legata allo squallore e alla malinconia della vita nelle grandi città come Londra. I temi principali dell’opera, tra cui anche il mito del Graal e l’universo dei tarocchi e delle profezie, rappresentato soprattutto dalla figura di Tiresia come spettro del poeta all’interno del poema, sembrano tutti girare attorno ad un unico concetto: l’eterno ciclo di morte e vita di cui è schiavo il mondo.
Perché aprile è il mese più crudele?
Ecco perché, in un ribaltamento destabilizzante per il lettore, aprile diventa il mese più crudele. La vita torna a imporsi, rigogliosa e rinnovata, sulla morte, mescolando il presente con il passato, ovvero la memoria, e promettendo il futuro, ossia il desiderio. Ma davanti a ciò l’abitante della terra desolata non ha scampo: l’aridità del mondo esterno, che è in realtà un’aridità interiore, si scontra apertamente con la rinascita della primavera, costringendolo a risvegliare la propria coscienza e a rendersi conto della propria sterilità e, infine, della propria caducità.
Aprile è il mese più crudele perché è in grado di rivelare all’uomo il proprio vero volto e di spingerlo a riflettere sulla propria condizione esistenziale e sul mondo che ha costruito attorno a sé.
A distanza di un secolo dalla sua pubblicazione il poemetto di T. S. Eliot rimane incredibilmente attuale e continua a parlarci di questione fondamentali, incalzandoci verso una più profonda conoscenza di noi stessi. Forse proprio davanti a queste ultime due crudeli primavere che l’intero mondo ha vissuto a causa della pandemia globale il messaggio provocatorio di Eliot può spingerci a riflettere tanto sull’infinito ciclo di morte e vita quanto, più profondamente, sulle nostre responsabilità in quanto, più che mai, abitanti della terra desolata.
Marta Renno