In Iraq, un paese già fortemente discriminatorio e violento contro la propria comunità LGBTQ+, ieri, sabato 27 aprile, è stata approvata una legge che criminalizza l’omosessualità e in generale chi ha una relazione con una persona dello stesso sesso, chi “promuove” l’omosessualità e la prostituzione, chi cambia il proprio «genere biologico», veste abiti femminili o si comporta «intenzionalmente» come una donna. Una vera e propria “guerra santa” quella portata avanti dal regime di Bagdad il quale vorrebbe così difendere i valori religiosi islamici e proteggere la società irachena “dalla depravazione morale e dagli inviti all’omosessualità”.
La nuova legge, approvata dal parlamento di Bagdad grazie al voto della coalizione sciita, punisce anche i medici che compiono operazioni chirurgiche di riassegnazione del genere e gli uomini che compiono «scambi di mogli» e prevede pene carcerarie fino a 15 anni. Prima che fosse approvata una legge che criminalizza l’omosessualità le autorità usavano altre norme del codice penale per discriminare e colpire la comunità LGBTQ+ la quale da sempre deve fare i conti con discriminazioni e violenze e in generale è costretta a vivere la propria sessualità come un tabù. Nel 2022 Human Rights Watch e l’organizzazione irachena IraQueer hanno segnalato numerosi casi di rapimenti, torture, stupri e omicidi non puniti e compiuti da bande armate ai danni di persone omosessuali o trans.
Il rapporto è basato sul racconto di 54 persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ e sopravvissuti a casi di violenza o discriminazione. I dati raccolti hanno portato alla luce ventisette casi di violenza sessuale, compreso lo stupro di gruppo, quarantacinque casi di minacce di stupro e uccidere e quarantadue casi di aggressioni online. In otto casi gli abusi hanno riguardato minori di 15 anni. Le azioni violente sono compiute perlopiù di giorno e ciò è prova del clima di impunità del quale godono tali individui e gruppi armati. Ogni singolo atto violento fa parte di un piano più ampio con lo scopo di intimidire l’intera comunità.
Lo stesso Human Rights Watch, tramite il suo vicedirettore Rasha Younes, ha commentato negativamente la nuova scelta da parte del governo di Bagdad: «L’approvazione da parte del parlamento iracheno conferma lo spaventoso record di violazioni dei diritti contro le persone LGBTQ ed è un duro colpo per i diritti umani fondamentali.»
Iraq, i rapporti con gli USA e la condanna della Comunità Internazionale
Una iniziale bozza del testo di legge prevedeva anche la pena di morte per le persone con una relazione omosessuale, ma tale norma è stata poi emendata durante la discussione parlamentare perché fortemente criticata dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei. Per evitare contrasti con la Casa Bianca il regime iracheno ha anche deciso di rimandare l’approvazione della legge di una settimana in modo da non influenzare la visita diplomatica negli Stati Uniti del primo ministro Mohamed Shia al Sudani il quale nei giorni scorsi è stato a Washington e in vari altri Stati americani.
Nonostante gli sforzi fatti dal governo iracheno la legge che criminalizza l’omosessualità non è piaciuta alla Casa Bianca la quale ha diramato un comunicato ufficiale con cui ha espresso tristezza e preoccupazione per la decisione presa:
«Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per l’approvazione da parte del Consiglio dei Rappresentanti iracheno di un emendamento alla legislazione esistente […] che minaccia i diritti umani e le libertà fondamentali tutelati costituzionalmente. […] Limitare i diritti di alcuni individui in una società mina i diritti di tutti.»
Secondo il Dipartimento di Stato americano tale legge potrebbe avere anche effetti negativi sull’economia del paese e in particolare sulla sua capacità di attrarre investimenti esteri. Con l’approvazione di questa nuova legge che criminalizza l’omosessualità l’Iraq sembra quindi compiere un ulteriore passo indietro nel percorso di costruzione di una solida democrazia che riconosca pari diritti ad ogni suo cittadino e in questo senso a nulla sembrano essere servite le denunce da parte delle ONG internazionali e di molti paesi della comunità internazionale.