Siamo davvero nell’Antropocene? L’era geologica creata dall’essere umano

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L’avrete letto ormai ovunque – sulle prime pagine dei giornali, sugli striscioni degli ambientalisti dei Fridays for Future, persino dove c’è chi nega, che tutto ciò stia realmente accadendo – “stiamo profondamente alterando il clima del nostro pianeta.”
Nulla di nuovo quindi, se non fosse che anche qua giù, proprio sotto i nostri piedi, nelle rocce e nei sedimenti, qualcosa sta avvenendo. Quel che potrà suonarvi nuovo è quindi il concetto di Antropocene: l’era geologica degli esseri umani.

 

Cosa differenzia il concetto di Antropocene dagli altri allarmi(smi)?

Che per voi si tratti di allarmi – o di allarmismi – le denunce sui cambiamenti a cui stiamo assistendo in natura, a livello planetario, si focalizzano soprattutto sulle microplastiche, sui livelli di CO2, sui devastanti roghi che collegano il continente africano all’Amazzonia. Raramente si parla invece di ciò che succede sotto la Terra.
Tale ambito, è quello della geologia – anche se la definizione di qualcosa come un “Antropocene” ha implicazioni talmente ampie, da non potersi limitare a un unico settore della scienza – la quale analizza l’evoluzione del pianeta da un punto di vista diciamo, appunto, più olistico.

Il concetto di Antropocene va quindi oltre il “semplice” cambiamento climatico, e serve a marcare il passaggio dall’Olocene – il periodo precedente, iniziato poco più di 11 mila anni fa, nonché relativamente stabile – all’era attuale: un’era in cui gli esseri umani stanno destabilizzando proprio quell’equilibrio, e in maniera assolutamente accelerata.

A coniare il termine pare sia stata la Great Soviet Encyclopedia (1973), sebbene ad adottarlo col significato che gli attribuiamo oggi, è stato nel 2000 il chimico dell’atmosfera e Premio Nobel Paul J. Crutzen.

Da lì, il concetto di Antropocene ha iniziato a diffondersi in letteratura scientifica, spronando le ricerche e dando vita all’Anthropocene Working Group (AWG).

Di recente poi, l’Antropocene è diventato persino arte, in un tentativo forse di autodenuncia dell’essere umano: una mostra fotografica arricchita da pannelli e installazioni prorogata fino al 5 gennaio  a Bologna, oltre che un film-documentario del 2018.




 

Il parere degli scienziati:

L’obiettivo dell’AWG è stato appunto di pronunciarsi sulla legittimità dell’Antropocene in quanto nuova unità temporale, al pari dell’Olocene, del Pleistocene e di tutti i precedenti, incluso il periodo Giurassico.

Al Congresso Nazionale di Geologia del 2016 a Città del Capo (in Sudafrica, uno dei paesi maggiormente coinvolti dalle evidenze dell’Antropocene) l’AWG ha quindi presentato le basi scientifiche, più precisamente stratigrafiche, di questo concetto. Inoltre, si è ipotizzato un suo inizio intorno alla metà del XX secolo – circa 70 anni fa – in coincidenza con la “Grande Accelerazione” post-bellica.

I “tecnofossili” umani: le prove dell’Antropocene

Dilungarsi in una spiegazione completa su come si è giunti a definire, e quasi – come vedremo più avanti – accertare il concetto di Antropocene, richiederebbe troppo tempo; esiste comunque ormai un repertorio scientifico ricchissimo su Internet, per approfondire l’argomento. Quel che potrebbe interessarci particolarmente sono tuttavia i così detti nuovi “tecnofossiliumani: definire il passaggio fra le ere geologiche ha infatti bisogno di un “Chiodo d’Oro”, vale a dire una Sezione e un Punto Stratigrafici Globali, una serie di segnali geologici diversi in posti diversi, ma con segnali in comune. (Ed è questo il motivo per cui siamo solamente quasi-certi – almeno a livello “teorico” della fondatezza dell’Antropocene: non c’è ancora consenso infatti fra gli scienziati, a proposito del “Chiodo d’Oro”; in particolare perché è difficile individuare un riferimento che sia valido a livello globale, in tutte le aree del mondo, considerando che noi siamo qui a leggere quest’articolo, mentre in altri posti si fatica a respirare, a procurarsi acqua potabile, o a coltivare e produrre in maniera non-contaminata).

Una serie di riferimenti comuni ad ogni modo esiste: l’aumento dei livelli di plutonio e dell’isotopo radioattivo del carbonio negli strati geologici – coincidentemente con l’incremento massiccio dell’utilizzo di idrocarburi e della produzione di fertilizzanti azotati – sono quelli che gli scienziati definiscono “marker primari”.

Fra i “marker secondari” troviamo invece “cattivi” a noi più noti (ed evidenti): ceneri volanti, concentrazioni elevate di CO2 e di metano, persistenza di pesticidi e metalli pesanti all’interno dell’ambiente, le famigerate microplastiche, il numero di specie estinte, lo sbiancamento dei coralli… e infine i tecnofossili.

I tecnofossili caratterizzano la così detta “tecnosfera”, colpevole di starsi letteralmente “mangiando” la biosfera del pianeta; si tratta di artefatti di vario genere – definibili “fossili” appunto, perché durevoli e resistenti alla decomposizione (pensiamo ad esempio a un singolo cellulare, con tutte le sue componenti materiali) – che hanno un elevato potenziale di fossilizzazione, e stanno prendendo il posto delle specie vegetali e animali nei substrati della Terra.

In conclusione, siamo effettivamente passati all’era degli esseri umani?

Attorno al concetto di Antropocene – come abbiamo visto – ruotano numerosissime questioni – qui purtroppo solamente approssimate –, e benché sia fondamentale, per gli scienziati, riuscire a risolvere quel cavillo del “Chiodo d’Oro”, una cosa è certa: definire qualcosa come un’eradegli esseri umani” consente di comprendere e classificare tutti i recenti cambiamenti a livello ambientale, non solamente quelli climatici, sull’intera superficie del pianeta. O meglio non proprio tutti: nello specifico quelli di natura antropogenica, ossia il cui fattore scatenante è l’uomo.

La soluzione è nel problema

C’è comunque qualcosa di meraviglioso e terribile nel concetto di Antropocene: terribile, perché – come sottolinea Karla Mc Manus nel suo saggio dedicato all’Antropocene – ponendo l’enfasi su “antropo” sembrerebbe quasi che:

…gli esseri umani non facciano parte del mondo naturale, ma se ne trovino eccezionalmente al di fuori. Ironicamente, molti considerano proprio questo il punto di vista per il quale ci troviamo nell’era dell’Antropocene.

E così, conclude definendola “l’arroganza di chiamare un’epoca con il nostro nome”. ( da “Anthropocene“, 2018, E. Burtynsky, J. Baichwal, N. De Pencier).

 

Eppure meraviglioso, perché essendo l’Antropocene un concetto in divenire ed essendone noi evidentemente gli autori possiamo decidere noi, che significato e quale forma dargli: l’Antropocene può insomma essere al contempo il problema e la soluzione, nel momento in cui scegliessimo una gestione più responsabile del sistema terrestre. A quanto pare, detto così, l’Antropocene esiste dunque: possiamo effettivamente essere noi a creare il cambiamento, e in meglio – tramite tutta la nostra tecnologia, le politiche sull’ambiente, un uso saggio delle risorse rimanenti, e un ripristino di quelle esaurite – di un’intera era geologica.

 

 

Alice Tarditi

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