Antonio Silvio Calò: la risposta umana all'”Aiutiamoli a casa loro” di Salvini

Dal 1 giugno si è ufficialmente insediato il nuovo governo con a capo Giuseppe Conte e con ministro degli Interni Matteo Salvini, le cui posizioni riguardo agli stranieri e agli immigrati sono ben note. “Aiutiamoli a casa loro” è divenuto uno di suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale, così come “Prima gli italiani” o “L’Italia agli italiani“. Slogan che esprimono una visione negativa di chi viene dall’estero, in particolare da chi arriva su barconi, scappando da luoghi afflitti da guerre civili e povertà estrema che durano da decenni, attraversando il Mediterraneo con il rischio di morire annegato. Chi di loro riesce a giungere sulle coste italiane viene poi condotto in un centro di accoglienza, che non è affatto un “albergo a 5 stelle“. Ma se da una parte c’è chi incita all’odio con discorsi razzisti e xenofobi e parla di invasione da parte degli immigrati, colpevoli di tutti i mali della società (disoccupazione, criminalità, “ci rubano le donne” ecc.) proponendo rimpatri e blocco degli sbarchi, dall’altra c’è chi ha cercato di dare una risposta diversa all’emergenza migranti e invece di “aiutarli a casa loro“, li ha “aiutati a casa sua“.

Antonio Silvio Calò: colui che divide casa sua con i migranti

Stiamo parlando di Antonio Silvio Calò, docente di storia e filosofia, residente a Treviso (da notare che il Veneto è una delle regioni più ‘leghiste’ in assoluto). La sua storia era finita su tutti i giornali già alcuni anni fa, quando aveva dato inizio ad un esperimento di accoglienza abbastanza singolare: condividere la sua casa con dei migranti. Questo percorso è cominciato l’8 giugno del 2015.

A riguardo aveva dichiarato:

“Da due anni ospitiamo sei profughi del sub-Sahara.Replicandolo in tutta Italia, si potrebbero assumere centinaia di persone e muovere una discreta economia locale. Tutti i miei ospiti attualmente lavorano dopo aver imparato la lingua italiana (scuola per un anno), aver fatto attività di volontariato e attività sportive, aver condiviso tutto per due anni con una famiglia imparando a diventare ‘italiani’ del futuro, e aver svolto un tirocinio professionalizzante di sei mesi. Le istituzioni spesso mi hanno detto che ‘rompo’ perché funziono e metto in discussione il sistema attuale… che è un non-sistema”.

Grazie a questo progetto, Antonio Silvio Calò ha ricevuto nel 2017 il titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella “per l’esempio di civiltà e generosità che ha fornito aprendo la sua casa a sei giovani profughi giunti a Treviso dopo essere sbarcati a Lampedusa“.




Il metodo Calò

Anche Ultima Voce ha intervistato questo professore-promotore di accoglienza e inclusione, a proposito del metodo Calò aveva spiegato che la convivenza tra la sua famiglia composta da moglie e quattro figli con altri sei figli ‘adottivi’ aveva richiesto molto impegno e molta determinazione. Vivere con sei persone che vengono da posti diversi, parlano lingue diverse e hanno storie diverse alle loro spalle non è affatto cosa da poco e non è cosa da tutti. Non si tratta solo di dar loro un tetto sotto cui ripararsi, un letto su cui dormire, vestiti per coprirsi e un pasto caldo da mangiare. L’accoglienza non significa e non implica solo questo, accogliere è molto di più. Non bastano la generosità e la disponibilità, quelle sono sì indispensabili, ma c’è bisogno di altro. Bisogna innanzitutto essere ‘aperti’ nei confronti dell’altro, del diverso e dello straniero, disposti a capire le differenze culturali che distinguono noi da loro, differenze che non necessariamente devono implicare una distanza fisica e spirituale, ma che, se capite e interpretate nel giusto modo, possono essere fonte di arricchimento per entrambe le parti. Dal punto di vista pratico è necessario essere organizzati e avere un progetto ben preciso in mente: non si può partire allo sbaraglio, servono mezzi economici, servono spazi adeguati e servono competenze specifiche per supportare l’integrazione. Certo ci vuole coraggio e anche tanto, così come è necessaria una famiglia molto unita, disposta e capace di accettare l’ingresso di nuovi membri dall’oggi al domani. La normale routine quotidiana viene completamente sfasata, ma, dopo un primo periodo di adeguamento, con pazienza e perseveranza si può stabilire un equilibrio.




Un progetto complesso, ma valido

Non sono di certo mancate le difficoltà in questo metodo originale e innovativo di accoglienza migranti, anzi, inizialmente Antonio Silvio Calò aveva anche ricevuto insulti e minacce per il suo operato. Ma lui non si è fatto scoraggiare e ha continuato, ottenendo risultati davvero degni di nota. Il suo innovativo metodo è stato anche raccontato in un docu-film dal titolo Dove vanno le nuvole diretto dal regista Massimo Ferrari.

Il suo scopo è quello di “presentare un progetto di accoglienza serio sia in Italia che in Europa, un progetto pilota che se realizzato dimostrerà la fattibilità di una convivenza costruttiva atta ad inserire gradualmente qualsiasi ospite che bussi alla nostra porta“.

Dunque, per favorire l’integrazione non serve collocare i migranti in strutture separate dal resto della comunità, così facendo si finisce col ghettizzarli, impedendo a loro di inserirsi in un determinato contesto sociale preesistente e a noi di poterli conoscere ed abbattere quelle barriere mentali e quei pregiudizi che nascono dalla paura di chi è estraneo.




Come fare? Il professore Calò in persona ha illustrato un metodo assolutamente fattibile e praticabile:

Al Governo consiglio di fare un decreto legge che imponga ai comuni inferiori ai 5.000 abitanti, che sono la stragrande maggioranza degli oltre 8.000 comuni italiani, di avere solo sei rifugiati. Attenzione, ogni 5.000 solo sei persone. Quelli che hanno 10.000 abitanti, ne avranno dodici, e avanti così in proporzione. Noi riteniamo che il modello 6+6 sia il più valido perché essendo pochi, il bilancio è molto semplice e non dà margini se non per guadagnare onestamente, per creare posti di lavoro anche, ma non per arricchirsi. E c’è anche la possibilità quindi di un controllo e di una trasparenza assoluta“.

Bisogna mettere i migranti in condizione di potersi integrare: insegnando loro la nostra lingua, istruendoli in modo che abbiano le conoscenze e le competenze per poter esercitare un mestiere. Se li si abbandona a se stessi, facilmente finiranno in qualche giro di criminalità. D’altronde, se non lavorano, come fanno a mantenersi? Piuttosto che chiudere le frontiere e programmare rimpatri di massa, Salvini potrebbe pensare a soluzioni alternative o attuare quelle che Antonio Silvio Calò ha suggerito. Nel frattempo, il professore si prepara a ricevere un’altra onorificenza, come da lui stesso comunicato, l’8 giugno 2018 ha ricevuto una lettera firmata dal vicepresidente del Parlamento europeo Sylvie Guillame: il 9 e il 10 ottobre si svolgerà a Bruxelles la cerimonia con cui verrà premiato come Cittadino Europeo dell’anno 2018.

Un cittadino esemplare, un eroe dell’integrazione, una persona che merita di essere premiata.

Carmen Morello

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