Il regime fascista lo fece rinchiudere in carcere, con le accuse di istigazione alla guerra civile, cospirazione, apologia di reato e incitamento all’odio di classe fino al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, quando ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica a Roma, dove trascorse gli ultimi anni di vita fino al giorno della sua morte, il 27 aprile del 1937.
«Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare»
Ma non ci riuscirono, malgrado la prigionia del corpo, Antonio Gramsci continuò ad essere libero nella mente e dalla sua cella del carcere di Turi scrisse quelle che molti ritengono le opere più rappresentative del primo Novecento in Italia: Lettere dal carcere e Quaderni del carcere. All’estero sono tra le pubblicazioni italiane più tradotte, qui in Italia quanti le conoscono e quanti le hanno lette, almeno una volta nella vita? Cosa rimane oggi della battaglia di Antonio Gramsci?
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. […]
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Gramsci desiderava che chiunque si definisse cittadino facesse la sua parte, perché quello che avviene, per quanto possa apparire insignificante, non è una casualità, ma dipende da ognuno di noi e da ciò che ciascuno è stato in grado di fare. Eppure oggi nessuno crede più a questi propositi: perché votare? Tanto i politici sono sempre gli stessi. Perché mobilitarsi? Tanto le cose rimangono come sono. Ed è così che siamo caduti nell’immobilismo e non riusciamo più a scappare da questo pantano.
Gramsci e la cultura
Gramsci esaltava il valore della cultura, non come “sapere enciclopedico”, secondo cui chi studia deve accumulare concetti, date e fatti senza una connessione, bensì cultura come
“organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri”.
E proprio per questo sin da piccolo coltivò la passione per gli studi, perché, come scrisse ad un suo amico, essi costituivano la sua unica possibilità di riscatto e di una vita migliore una volta cresciuto (in quanto proveniente da una famiglia non ricca). Già da bambino aveva compreso quanto fosse importante il ruolo che la cultura e l’istruzione ricoprono nell’assicurarci un affrancamento dalla schiavitù mentale, prima ancora che fisica. E seguendo questo pensiero, nell’editoriale del primo numero de L’Ordine Nuovo (da lui fondato nel 1919), dichiarò:
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.
Antonio Gramsci oggi…
Oggi più che mai si sente la mancanza di Antonio Gramsci, oggi più che mai ci sarebbe bisogno di un intellettuale capace di parlare al popolo, troppo a lungo dimenticato e non ascoltato. Forse, solo così, si potrebbero risollevare le sorti di un Paese in cui la sinistra è sparita e la destra si sta estremizzando sempre più. Quando il Fascismo iniziò a diffondersi in Italia, Gramsci fu ottimista, credendo che quel movimento non sarebbe riuscito ad affermarsi; ma così non fu. Per vent’anni il regime imperversò sulla nostra nazione e ci vollero una guerra mondiale e milioni di morti per sconfiggerlo. Ed ora dopo tutti questi anni dalla fine di quel conflitto “fischia il vento e urla la bufera” delle simpatie fasciste. D’altronde, come Gramsci stesso disse:
“L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva; la storia insegna, ma non ha scolari”.
Carmen Morello