Era un vero comunista d’altri tempi di lotta. Per il dittatore Mussolini sostenuto dai Savoia, “uno straordinario cervello che non doveva più pensare”. Fu arrestato, processato e detenuto nel carcere di Turi in Puglia per le sue idee sovversive. Morì a Roma nelle prime ore del 27 aprile 1937. E’ l’autore italiano più tradotto nel mondo. Ho iniziato a leggere le sue Lettere dal carcere quando avevo 10 anni. Sono cresciuto a pane e Gramsci (tradito dallo staliniano Togliatti) con i racconti di mio nonno materno delle lotte contadine nel Tavoliere., ma non ho mai avuto una tessera di partito, anche se ho scritto per giornali come L’Unità, Il Manifesto, Liberazione. Ho riscoperto il pensiero di Gramsci attraverso il poeta Pasolini.
Letteratura, arte, sociologia e filosofia, temi analizzati diffusamente dai Quaderni, scritti in prigione, dopo la condanna nel 1928 a venti anni di reclusione, inflittagli dal tribunale speciale. Essi costituiscono gli elementi fondamentali nella costruzione di un’identità nazionale.
Nel primo anniversario della morte, il leggendario Peppino Di Vittorio, con un articolo sul quotidiano degli esuli italiani in Francia –La voce degli italiani – intitolato “Un popolo al suo capo”, puntualizzava la denuncia dell’uccisione politica come strumento di intimidazione e di guerra permanente:
“Nessuno aveva mai analizzato con eguale profondità ed acutezza di Antonio Gramsci la composizione della società italiana, in tutti i suoi elementi costitutivi, nelle sue classi, nei suoi ceti intermedi”.
Il nome di Gramsci è associato a quello dei fratelli Rosselli, che furono assassinati a Parigi nel giugno del 1937, per le vicende connesse alla guerra di Spagna e per le denunce del ruolo nefasto del fascismo portate avanti dai Rosselli, fondatori del movimento di lotta “Giustizia e Libertà”. Mai dimenticare.