Rivìentu: Acqua da tutte le parti
Rivìentu, Coordinamento Territoriale del Reventino, organizza incontro sul libro di Antonello Caporale “Acqua da tutte le parti” con Francesco Lesce e Angelo Maggio all’abbazia di Corazzo, Carlopoli.
Riesco ad andare ed è per me un miracolo possibile grazie al passaggio di due miei cari amici, Miriam e Stefano.
Acqua da tutte le parti: Viaggio in 102 paesi e città dell’Italia che fiorisce e sparisce.
Sulle copertina due mani lavorano a maglia, un diritto e un rovescio, un punto riso, per noi.
Nell’abbazia, fra il pubblico, il sindaco di Carlopoli, Mario Talarico, l’assessore Maria Antonietta Sacco, e un dirigente regionale, Pasquale Mancuso, che interverrà, quasi con rabbia, alle circostanziate vicende raccontate da Antonello Caporale.
Quasi come se fosse un fatto personale e non un fatto quotidiano.
Antonello Caporale inizia da subito con le domande.
Cosa siamo e come potremmo essere. Cosa avremmo potuto fare se l’ignavia non ci avesse colpito come una malattia. Paurosi, dobbiamo imparare a vivere in una percezione di pericolo immanente, continua Antonello Caporale riferendosi agli ultimi avvenimenti di attentati.
Come collegare il libro al momento storico vivente? Con un turismo al contrario, come volontà e comportamento. Un libro che non denunci solo lo sfascio e lo sciupio, ma dia suggerimenti con esempi di buon governo. Il buon governo delle tavole del Lorenzetti, mi viene in mente.
Acqua da tutte le parti è la storia di paesi e persone, la storia di Saverio Gigliotti e del suo libro mastro dove lui annotava dal 1958 cosa comprassero i clienti nel suo negozio di generi vari.
Attraverso la vendita di catene per capre o di cemento e maioliche leggiamo, in quel suo annotare, lo sparire di una civiltà pastorale e contadina in favore di una edilizia sempre più invasiva.
Un territorio, il nostro, sempre più in balia dell’incuria e della depredazione.
E Antonello soffre, lo vedo, mentre ci racconta la sciagura delle Pale eoliche. Pale eoliche dappertutto. Proprietà di privati senza che ce ne stia una pubblica. Contentati i proprietari dei terreni con cinquemila euro annui, contentati i sindaci dei comuni con 250.000 euro. Una fesseria per affari di milioni di euro.
Una scelta illogica che va contro l’articolo 9 della costituzione sul paesaggio da salvaguardare, come bene pubblico, che va contro un utilizzo del vento, dell’acqua, della terra, come beni comuni.
Racconta l’esempio di alcuni paesi del Molise, e di un notaio di Favara, come per dire che basta sconfiggere la mediocrità e l’immobilismo e sia possibile per pubblico e privato lavorare bene, proporre soluzioni. L’immobilismo è il male. Forse il peggiore. Non avere idee, non farle vivere. Mediocrità. Il mediocre è colui che sta immobile, che non fa fare niente perché non si può e tu gli domandi perché non si può e lui non lo sa, sa solo che non si può fare. Mediocri sono la maggior parte dei funzionari della pubblica e privata amministrazione sia essa a partecipazione statale o meno. Mediocrità è l’immobilismo.
Una Italia studiata e visitata lungo i suo fianchi litoranei, vuota al centro e che va franando con escrescenze di cemento dovunque.
Il libro come informazione, come esame di coscienza, che fa del dispiacere e della disperazione una lucidità d’azione.
E qui Antonello, rivolgendosi all’ottimismo di Francesco Lesce e di Angelo Maggio, ha un sorriso, sorridono loro e sorrido anche io, nel riso che è consapevolezza.
Francesco e Angelo hanno percorso con Caporale le strade che portano a Badolato sulla statale Ionica, e poi risalendo verso l’interno, osservando le costruzioni non finite, i palazzi, le officine, cinema, alberghi, non finiti.
Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all’università della Calabria, riprende il tema della Calabria che soffre di un male eccessivo di rappresentanza. Il male della retorica.
Nel libro di Caporale, dice Lesce, si narra la Calabria, una narrazione possibile attraverso le immagini di Angelo Maggio, che danno corpo alla teoria dell’incompiuto, alla teoria che ci sia indifferenza visiva alle costruzioni non finite. una rimozione. Nessuno più vede lo scempio. Sembra una cosa naturale.
Uno stile di vita e non una eccezione. Nel tentativo di studiare il non finito come archeologia del fenomeno si è detto che è un monumento alle aspettative deluse dei calabresi.
Sono le fotografie di Angelo Maggio, presenti accanto al libro, a dar testimonianza delle parole, questa sera.
Francesco Lesce ammira di stima vera Angelo Maggio che, nel suo chiedersi continuo, ha quella curiosità onnivora verso ogni legge, ogni decisione politica, e ne svela le nudità come il celebre bambino del re è nudo della fiaba.
Entrambi contro ogni usi e abusi si accorgono che ora cultura e turismo rigenerano la retorica politica.
Angelo Maggio, inizia il suo intervento con la rappresentazione del dramma. Questo è un dramma, dice. Nel 2004 ha iniziato a far vedere le sue foto dove Cristi e Madonne venivano portati in processione fra case non finite, percependo che nessuno si scandalizzava per il brutto, per la sciatteria di luoghi deturpati.
Addirittura su quelle costruzioni venivano attaccati manifesti elettorali, bandiere della provincia, della regione. Come se fosse normale.
Un problema etico più che estetico ormai, perché, abituandosi al brutto, ci si abitua al non finito immateriale, un pensiero non finito, approssimativo, che ci priva della vitalità e della luce, presente invece negli occhi, questa sera, dei partecipanti alla serata. La luce della curiosità e della volontà.
Cosa è Rivìentu: è l’anima della nostra montagna e delle sue valli che proprio da “Rivìentu” trae il nome “Reventino” (“Riventìnu” in dialetto è il nome della montagna che svetta sulla vallata). Per l’evento il gruppo di Rivìentu è composto dalle associazioni: Progetto Gedeone, La Fenice Bianca, Pedivigliano 200, Conflenti Trekking, Felici & Conflenti, Gas del Reventino, La Carovana, Forum del Reventino, Gruppo Spontaneo Colosimi e Centro Culturale Castagna.