Finita l’era del “noi non siamo mica comunisti”, siamo approdati (o forse dovremmo dire affondati) nel tempo del “noi non facciamo politica”, meglio noto come Antipolitica. Lo spauracchio del comunismo è ormai passato di moda, tranne che in qualche pallido discorso di alcune vecchie e redivive guardie, dato che il Marxismo e suoi figli non fanno più paura a nessuno, bollati come vecchi e polverosi dalla sinistra stessa, passata a più miti e annacquati consigli. Il vero mostro dei tempi moderni è la politica stessa.
Antipolitica non è un concetto inventato da noi e sicuramente non è nuovo, risale alla Rivoluzione Francese, ma è tornato in auge nell’ultimo ventennio per raggiungere il suo massimo splendore proprio nel periodo corrente. L’Antipolitica è nata dal basso, come tumulto enterico misto a stanchezza nei confronti delle istituzioni e delle ideologie, tipico dell’elettore pigro che si nasconde dietro un paravento di indifferenza o insofferenza per la politica stessa. Questo tipo di Antipolitica è stata poi raccolta dall’alto, proprio dagli uomini politici stessi, che hanno colto la succosa occasione che gli si è presentata davanti: cavalcare l’onda del malcontento e della sfiducia, strizzando l’occhio all’elettore per conquistarlo sulla scia di una finta empatia e malessere condiviso. Pare chiaro che non c’è nulla, quindi, di più politico dell’antipolitica.
Che ci si proponga di azzerare la classe politica oppure di rimodernarla, ad un orecchio attento il discorso non suona poi tanto diverso: l’importante è che dalla politica scompaiono concetti imbolsiti per far posto a termini più leggeri e creativi, che suonino immediati e senza impegno alle orecchie dell’elettore. Via quindi le ideologie per fare spazio alle idee; basta con le prese di posizione per approdare alle scelte; alt alla politica in funzione di una più semplice nozione di governare. Ecco quindi che spunta la politica del Movimento, il governo Del Fare, la necessità improvvisa di Buone Idee (non importa se di destra o di sinistra) e arringhe contro i poltronai dal vitalizio facile che “non conoscono nemmeno il costo di un litro di latte”. La genialità dell’antipolitica è quella di usare termini diversi per dire sostanzialmente le stesse cose ma in modo più accattivante, come tanti slogan atti a sedurre l’elettore-consumatore: il cittadino non crea più dibattito dal basso con la corrente politica di appartenenza ma, proprio come al supermercato, compra un prodotto (il politico stesso), tirato a lucido in una confezione colorata strombazzata come novità. Perché è importante che il politico, mentre spergiura di non essere un politico, si mostri anche come qualcosa di diverso e di nuovo rispetto a tutti gli altri, che invece sono ancora – colpevolmente – legati a vecchi o pericolosi schemi. L’antipolitica diventa così anche politica-dell’anti: anti Renzi, anti Grillo, anti vecchia classe dirigente e via discorrendo. Spariscono dai programmi elettorali i vari punti di azione per far posto alla contrapposizione di stampo calcistico: o porti la mia maglia oppure la loro, non si viene più eletti ma si vince la competizione elettorale.
Ed è qui che sfido l’elettore, anche e soprattutto quello informato, a ricordare l’ultima volta che ha votato qualcuno in funzione del programma e non in funzione dell’opposizione tour court e impaurita rispetto a qualcos’altro, così come fomentata dall’alto. La politica, così come tutte le invenzioni umane, deve essere recettiva al progresso e sicuramente può prendere derive pericolose, nessuno lo nega, ma non è il nemico da abbattere: la politica non è altro che l’arte di fare una scelta, di prendere una posizione in base ad un’idea, o ideologia, che rispecchi la nostra visione del mondo come lo vorremmo. Non si può governare uno Stato senza fare politica e la politica non si può nutrire solo di sterili contrapposizioni basate su targhe e nomi ma trae forza vitale dalle ideologie, che non sono mali da curare ma punti di partenza per immaginare il futuro collettivo; prima della lotta, del compromesso, del fare e di tutti i movimenti di opposizione possibili. Prima di diventare totalmente orfani di buona politica, abbiamo il bisogno di tornare all’origine della stessa: all’impegno collettivo, al discorso informato, al dibattito costruttivo e ai movimenti intestini (ma non intestinali) che da sempre hanno animato la politica vera, quella che viene dal basso, dai circoli, dalle case del popolo. L’alto, poi, verrà di conseguenza.
Alice Porta