A tutti sarà capitato di trovarsi davanti a un discorso politico o un testo di legge senza riuscire a comprenderlo.
Termini complessi, periodi lunghi e indecifrabili, vocaboli sconosciuti.
Si tratta del burocratese, anche detto antilingua
Italo Calvino e il terrore semantico
Il primo a trattare questo tema fu Italo Calvino che, il 3 febbraio 1965, pubblicò un articolo sul quotidiano Il Giorno.
Nel testo si raccontava di un brigadiere intento a trascrivere la dichiarazione di un interrogato.
Osservando la grande differenza nei modi di esprimersi dei due uomini, Calvino iniziò una riflessione su quella che definì antilingua.
Secondo lui, l’origine di questo fenomeno si trova nel cosiddetto “terrore semantico”.
Questo termine indica la tendenza delle alte cariche a evitare termini troppo semplici e popolari, con l’obiettivo di innalzarsi al di sopra della maggioranza.
Per esempio, la parola “accadere” diventa “avere luogo“, “fare” diventa “effettuare“, oppure l’espressione “era stata scassinata” diventa “avvenuta effrazione“.
Lo scopo sarebbe, quindi, quello di rendere incomprensibile un messaggio mettendo il destinatario in una condizione di inferiorità.
Le origini dell’antilingua
L’antilingua, sempre secondo Calvino, risalirebbe alla metà del 1800, nello stesso periodo dell’Unità d’Italia.
Prima dell’unione, infatti, si parlavano lingue diverse in ogni stato.
Inoltre si tendeva ad usare il dialetto con amici e parenti, il francese con gli sconosciuti e il volgare nella letteratura.
Nel 1861, con l’Unità, gli italiani cominciarono ad utilizzare una lingua comune a tutti, per la quale presero spunto dalle opere di Manzoni.
Nella burocrazia, invece, cominciò a costituirsi un diverso tipo di linguaggio sempre più incomprensibile alla popolazione.
Ma, tornando indietro nel tempo, si può notare come questa tendenza esistesse già nel Medioevo.
Solo gli aristocratici e gli ecclesiastici, infatti, parlavano in latino. Il resto della popolazione parlava una lingua volgare.
A causa di questa differenza non solo era difficile comunicare, ma era anche impossibile leggere i libri e partecipare alle messe.
L’antilingua e le sue conseguenze
Le ripercussioni dell’antilingua nella vita di tutti i giorni sono molte e sono profonde.
Lo aveva già intuito Don Lorenzo Milani, sacerdote e insegnante fiorentino degli anni ’50.
L’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo è lui il padrone
Il linguaggio burocratese non ci permette di comprendere a pieno il linguaggio della legge, e quindi dei nostri diritti.
Rende impossibile partecipare al dibattito politico, esprimere opinioni e fare critiche.
Ma soprattutto rende più vulnerabili e più facili da manipolare.
L’antilingua, purtroppo, esiste da secoli e non smetterà di esistere.
Ma, se non possiamo sconfiggerla, non ci resta che affrontarla.
Leggere tanti libri, cercare il significato dei termini più difficili, approfondire i temi più complessi anche con l’aiuto di altre persone.
Perché la comunicazione è alla base della libertà di ognuno.