Coraggiosa fino all’estremo, indomita, arrogante come solo chi si sa nel giusto: non per caso l’eroina di Sofocle ha fatto innamorare generazioni dall’antichità ai giorni nostri. Costantemente riproposta e rivisitata, la principessa tebana si è resa portavoce delle più spinose sfide etiche dell’epoca. Poiché le possibilità generate dal suo fascino sembrano tutt’altro che esaurite, occorre chiedersi: chi è Antigone oggi?
Per rispondere a questa domanda, proviamo a prendere in considerazione tre delle più recenti rivisitazioni del racconto sofocleo. Antigone oggi è anzitutto una voce in un testo che, prima di diventare un libro, ha fatto il giro del web: Antigonick di Anne Carson. Opera che, come suggerisce quel nick finale ( = taglio) costituisce un particolare lavoro di scavo/scultura dentro il testo – e, inaspettatamente, anche dentro il lettore. Ma Antigone oggi è anche e soprattutto il nome che riassume, riaffermandoli, un immaginario e un’etica essenziali. Ciò risulta evidente nel film Antigone di Sophie Deraspe, che racconta le tragiche vicende di una famiglia di profughi algerini in Canada. Così come il romanzo di Francesco D’Adamo Antigone sta nell’ultimo banco, storia di una presa di coscienza e conseguente rifiuto delle atrocità del caporalato.
Antigonick: la tragedia di Sofocle ripensata con Tumblr
È possibile tradurre un’opera come l’Antigone nel linguaggio dei social network? E, qualora lo sia, perché varrebbe la pena farlo? Da queste domande nel 2012 nasceva una curiosa operazione letteraria della poetessa e studiosa di lettere antiche Anne Carson. Che con Antigonick, pregiato volume illustrato da Bianca Stone, offriva una controversa risposta. Antigonick è una più che libera traduzione dell’opera sofoclea modellata sugli stilemi (linguaggio, layout testuale, corsivi, ripetizioni) dei post su Tumblr. Sulla piattaforma ha spopolato, incontrando il favore di conoscitori e neofiti della tragedia. E se ai puristi certamente ha fatto storcere il naso, l’opera ha tuttavia conseguito un risultato importante. Attraverso un linguaggio vicino a quello degli utenti, cioè, Antigonick ha reso una tragedia antica lo strumento per pensare temi problematici per i più giovani. Traumi, famiglie disfunzionali, rifiuto dell’autorità e altri contenuti difficili da affrontare, così, hanno trovato voce nella struttura decifrabile di una storia senza tempo.
L’Antigone di Sophie Deraspe, candidata agli Oscar 2020
A giorni approderà nelle sale italiane il film Antigone, pellicola già pluripremiata e candidato canadese agli Oscar 2020. Ispirata dalla tragica vicenda di Fredy Villanueva, diciottenne onduregno ucciso a Montréal dalla polizia durante uno scontro, Sophie Deraspe reinventa l’eroina sofoclea. La sua Antigone è una giovanissima immigrata algerina, rifugiata coi fratelli Ismène, Étéocle e Polynice e l’anziana nonna Ménécée in un Canada cordialmente ostile. Studentessa promettente, quando Polynice – reclutato da una gang – viene arrestato ed Étéocle ucciso dalla polizia, Antigone deve scegliere tra famiglia e futuro. Lo fa senza esitazione, prima sostituendosi al fratello in carcere con un inganno, poi, scoperta, rivolgendosi all’opinione pubblica per far sentire le proprie ragioni. Ragioni sbagliate per gli organismi del potere costituito e, certo, legalmente assai discutibili, ma che mettono in luce un aspetto perturbante di molte democrazie. Cioè il fatto che in esse la legge permette che alcune vite valgano di meno.
L’eroina sofoclea contemporanea, per come si presenta nella pellicola di Deraspe, è un’influencer. Una ribelle senza alternative che attraverso i social network invita alla rivolta un’intera generazione.
Particolarmente interessante, a questo proposito, è la continuità che la regista e sceneggiatrice individua tra il coro della tragedia antica e i social network. Deraspe, infatti, scrive nelle note di regia:
trovo che i social agiscano esattamente allo stesso modo in quel grande teatro che è la società contemporanea. Sono il mormorio della città. Prendono posizione mentre la storia avanza, commentano i fatti, a volte li distorcono o traggono ispirazione da loro.
Antigone oggi, dunque, è anche una giovane profondamente consapevole del contesto sociale nel quale si muove. È priva di illusioni, ma non le manca il coraggio. Il coraggio di opporsi anzitutto, anche con mezzi illeciti se necessario, all’ingiustizia che colpisce i propri cari. Ma, soprattutto, il coraggio di rivolgersi al mondo con voce forte e chiara, chiedendo conto di quanto sta avvenendo ed esigendo un cambiamento.
Attraverso gli occhi dei ragazzi: Francesco D’Adamo mostra ai più giovani l’attualità del mito sofocleo.
I ragazzi – ama dire Francesco D’Adamo – sono adulti con qualche anno di meno. Rivolgersi loro con storie che edulcorano la realtà è tradire la responsabilità che un romanziere ha verso il lettore. Perché raccontare, specialmente a chi inizia a porsi delle domande, è educare offrendo una visione del mondo. Convinto che la storia di Antigone offra alle soggettività in formazione risorse preziosissime, D’Adamo la attualizza in modo molto particolare. Cioè ambientandola in un piccolo paese la cui ricchezza deriva dalla coltivazione dei meloni, raccolti da lavoratori immigrati vittime di sfruttamento. Quando un ragazzo muore per il caldo e la fatica, nel piccolo paese avvelenato da razzismo e xenofobia nessuno vorrebbe riconoscere l’evidenza. Né dare a quello straniero senza nome una degna sepoltura. Solo la sensibilità di un gruppo di ragazzi delle medie ispirati dalla lettura dell’Antigone metterà la civile ferocia degli adulti davanti alle sue responsabilità.
Nel romanzo Antigone sta nell’ultimo banco le Antigoni, in realtà, sono molte, corrispondenti alle voci fuori dal coro necessarie a contrastare la cantilenante normalità dell’orrore.
Antigone è Jo La Peste, ragazzina ribelle con un radicato senso di giustizia che scopre quanto, talvolta, sia difficile non vestire i panni di Ismene. E che, con la guida del padre e il supporto degli amici, riesce a prendere posizione contro l’ingiustizia anche se farlo spaventa. Antigone è Luca Scialla, di giorno ripetente, di notte artista sconosciuto che con murales giganteschi mette il paese di fronte alla scomoda realtà. Antigone è Federico, padre di Jo e medico che rifiuta di attribuire al caso la morte per sfinimento di un giovane immigrato senza nome. Perché verità e umanità vengono ben prima del quieto vivere e del buon nome. E Antigone è ognuno dei ragazzi che, davanti al paese riunito, compie l’impossibile uscendo dal teatro in processione per andare a seppellire un fratello straniero. Mostrando che Antigone oggi è sorella del mondo intero: il suo amore non riconosce nazionalità e confini.
Antigonick, il film Antigone e il romanzo Antigone sta nell’ultimo banco sono, ogni opera a modo suo, variazioni sul tema inesauribile della libertà.
C’interrogano su cosa significhi essere liberi di usare la parola per riformulare, creare, convincere, opporsi, denunciare. Così come c’interrogano anche sulle nostre azioni, comprese le omissioni e le volte in cui preferiamo nascondere la polvere sotto il tappeto. Ci mettono davanti al nostro essere ineludibilmente in relazione con altri. E con un contesto di parole, azioni, valori che ci eccedono e con i quali dobbiamo fare i conti. Antigone oggi, forse, soprattutto ci ricorda che questa interazione inevitabilmente non è né incolore né indolore: le sue modalità ci coinvolgono globalmente. E se anche non siamo tenuti a morire per ciò che riteniamo giusto, Antigone oggi ci invita a non vivere accettando ciò che sappiamo sbagliato.
Valeria Meazza