Antigone e il Piccolo Principe davanti alle leggi

Antigone, la protagonista dell’omonima tragedia sofoclea, è proverbiale. Sotterrò il cadavere del fratello, contravvenendo al decreto che lo voleva insepolto, in quanto traditore della città. La durezza del sovrano Creonte nei confronti della pia disobbediente causò però rovina, anziché quella stabilità e quell’ordine che avrebbero dovuto esser così tutelati.

 

antigone e il corpo di polinice
Antigone e il corpo del fratello Polinice.

 

Da allora, il nome di Antigone torna, per mostrare il divario tra leggi scritte e leggi non scritte: quelle delle usanze, della natura, del bisogno (materiale o psicologico), della coscienza, dell’umanità. A volte, il paragone cade a sproposito, quando si vuol sancire come “legge naturale” ciò che è convenzione inveterata. O quando, di fatto, si sta operando in senso liberticida, o contrario a un’equilibrata regolazione della convivenza. Niente a che vedere con la dignità di Antigone, che non pretendeva d’imporre o vietare alcunché, compiendo il proprio dovere – e che, semmai, insegnò l’umiltà al tiranno Creonte. Potenza del mito, che sa dire anche il contrario di se stesso.

 




Sta di fatto che la riflessione su regole istituzionali ed eterne ha influenzato anche un altro genere letterario: la narrativa per l’infanzia. Stiamo parlando di un episodio de Il Piccolo Principe (1943), di Antoine de Saint-Exupéry: un altro classico.

 

In esso, il protagonista incontra un re. Un monarca assoluto e universale, per la precisione. Come Creonte, non tollera di essere disobbedito. Però, sia per indole che per intelligenza, si rende conto che i suoi ordini debbono essere eseguibili, perché vengano presi sul serio. Soprattutto se, oltre che dagli uomini, vuol farsi obbedire dai corpi celesti. Ecco dunque che questo re non può dare leggi diverse da quelle che già agiscono in natura. La sua maestà si rivela dunque vuota e superflua, proprio per essersi troppo innalzata.

 

Cosa dicono la tragedia e la fiaba? Non certo che il diritto positivo, nato da un accordo fra gli uomini, sia totalmente inutile. Come recita un proverbio: patti chiari, amicizia lunga. Molte controversie possono risolversi con più velocità e chiarezza, se trovano norme prestabilite a cui rivolgersi.

 

Il monito, semmai, è ritrovabile nel discorso di Emone al padre Creonte:

 

“Non trincerarti nell’idea che solo ciò che dici tu, e nient’altro, sia giusto. Quanti presumono di aver sempre ragione, o di possedere una lingua e un animo superiori, ebbene, una volta scrutati a fondo, rivelano il loro vuoto interiore. Anzi fa onore a un uomo, per quanto saggio egli sia, continuare ad imparare senza chiudersi nell’ostinazione. Sai bene come lungo i torrenti gonfiati dalle piene invernali gli alberi che si piegano conservano i rami, mentre quelli che resistono finiscono divelti con tutte le radici. E parimenti il marinaio che tiene troppo tese le scotte, senza mai allentarle, fa rovesciare l’imbarcazione e si trova a navigare a chiglia capovolta. […] sarebbe stupendo se gli uomini possedessero per nascita la perfetta saggezza; altrimenti, poiché questo accade ben raramente, è buona norma imparare da chi dice il giusto.” (Sofocle, Antigone, vv. 705-723. Dall’edizione BUR, Milano 2012. Traduzione di Franco Ferrari).

 

E nemmeno all’anzianità si dovrebbe guardare più di tanto:

 

“Se io sono giovane, non dovresti badare all’età quanto al comportamento.” (Op. cit., vv. 728-729)

 

Per quanto l’arte della convivenza possa comportare più rischi, da uno ci si dovrebbe principalmente guardare: la convinzione assoluta della propria ragione – da non confondere con la comprensibile e doverosa indignazione davanti a un sopruso. Un rischio che la democrazia formale non ha affatto ridotto: nel corpo civico, operano anche coloro che vedono nel liberalismo unicamente un terreno di espansione del proprio ego.

 

Non è poi così difficile riconoscerli: come Creonte, sono sempre pronti ad accusare di egoismo e arroganza. Anche quando non rischiano di perdere alcunché di concreto. Anche quando “arroganza” significa rispondere con il loro stesso tono. E puntano il dito contro chi “tapperebbe loro la bocca”, mentre (al contrario di altri) non hanno dovuto tacere neppure per un attimo. La delegittimazione è amica d’ogni vero tiranno.

 

Erica Gazzoldi

 

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