Ansia sottovalutata in quanto malattia, ma sono 6 milioni in Europa le persone che ne soffrono
Sessione estiva: il mare non è a un passo da me e io nemmeno posso raggiungerlo.
Gli esami sono alle porte, e noi non ci sentiamo tanto bene, io ho caldo e sono agitata.
La chiamavamo tensione, ora la chiamiamo ansia.
Tutto ha un nome, la preoccupazione di tutto anche: ansia.
Esame alle 14;30 – “l’ora del riposino pomeridiano”, la questione è tragica – siamo tanti, troppi per un’aula che contiene meno persone di quanti siamo.
Appello chilometrico, in cui tra un “speriamo che compaio nella prenotazione” e “speriamo non sia ultimo”, ci guardiamo tutti come fossimo una grande famiglia.
Prima degli esami, così come negli ospedali o in situazioni difficili emerge la nostra umanità: ho quasi il dubbio che dovremo vivere con problemi 24 h su 24 per essere più dolci gli uni con gli altri.
Una ragazza cattura la mia attenzione: si sposta energicamente, anche se sarebbe più appropriato dire nevroticamente.
Soffre d’ansia, dice la sua amica.
Io sorrido: io che, con ansia inconsapevole, ballo la mia gamba sul pavimento, sorrido.
Temo che l’ansia stia diventando il male della mia generazione.
Velocità, sistemi complessi che si arrogano il diritto di migliorare la vita, file chilometriche che prevedono altre file chilometriche, e raggiunto il traguardo ti trovi a fare i conti con un buco nell’acqua.
L’età del benessere, ho come l’impressione, che coincida con l’età della solitudine.
Siamo soli e tristi, siamo tristi e colti dall’ansia.
Ansia di tutto: ansia di non farcela, ansia di non trovare lavoro, ansia di perderlo. Tutto si riassume in un’unica parola: ANSIA.
Vediamo, più nel dettaglio, cos’è l’ansia:
Stato di tensione psicosomatica, generalmente vissuto come penosa passività verso eventi dannosi che il soggetto pensa stiano verificandosi o teme possano verificarsi.
(www.treccani.it)
Tutti siamo colpiti da momenti in cui l’ansia ci prende lo stomaco, il problema è quando diviene la protagonista della nostra vita.
Negli ultimi anni l’attenzione a questo problema sta aumentando notevolmente, considerando che il principale motivo per cui si consulta uno psicologo è per questo tipo di disturbo.
L’ansia viene sottovalutata come malattia, eppure sono 6 milioni in di persone Europa che ne soffrono. Sicuramente a peggiorare la situazione sono le difficoltà economiche (nonché lavorative) in cui perversa il nostro mondo:
In Italia circa 4 cittadini su 10 […] soffrono di qualche disturbo psichico aggravato dal perdurare della crisi economica attuale: fra gli italiani con minori risorse economiche la prevalenza di disturbi d’ansia è circa il 20%, contro il 10% fra chi appartiene a un livello socioeconomico elevato.
(www.salute24.ilsole24ore.com)
Dobbiamo distinguere l’ansia per come la conosciamo nella vita quotidiana, come prima di un esame, quindi come «un’esperienza emotiva comune e in genere rappresenta la normale risposta a fattori ambientali stressanti» (www.psiconauti.it), dai disturbi d’ansia in cui «l’ansia è più intensa, persiste più a lungo e può essere legata a particolari persone, ambienti o situazioni» (ibidem). In questo secondo caso, l’ansia diviene un vero e proprio blocco per l’individuo che ne soffre.
Nell’era del progresso e del narcisismo la regola principale è possedere.
Forse l’ansia nasce anche da quest’inquietudine di fallire nel possesso?
Il mondo ci vuole, ci stritola, in una morsa di obblighi, a volte senza senso.
Dobbiamo cercare controllare gli stati d’ansia, dobbiamo cercare di frenarla quando ci pervade le ossa, anche se è difficile, soprattutto immersi in un mondo che ci vuole sempre attivi.
Decido di ritagliarmi degli spazi per respirare, di rimandare a domani la preoccupazione di oggi. Decido di sentire cosa mi dice il cuore e meno la televisione.
Decido di pensare meno al lavoro che non troverò, e cerco di rimboccarmi le maniche, più di ieri.
Decido di essere forte, nonostante le difficoltà.
Decido di gestire l’ansia e di non farmi gestire da lei.
Per cui oggi esco, e lascio l’ansia a casa.
Vanessa Romani