“Anno nuovo, vita nuova”: lo diciamo ogni anno.
Ogni Capodanno facciamo la lista dei buoni propositi per l’anno nuovo.
Ogni anno decidiamo che è il momento di fare tabula rasa e ricominciare da zero.
È una tela bianca da dipingere. La prima pagina di un nuovo libro tutto da scrivere.
L’anno nuovo è un serpente che si morde la coda
In realtà – l’anno nuovo – proprio nuovo non è; e neanche noi. Poiché noi siamo la somma di tutto quello che ci è successo, delle persone che abbiamo incontrato e delle decisioni che abbiamo preso.
Immaginatevi un serpente che si morde la coda chiudendosi a cerchio. Questo serpente si chiama “uroboro”, dal greco “οὐροβόρος” (composto da “οὐρά”, coda, e dal suffisso “-βόρος”, che morde).
È una figura alchemica e un simbolo molto antico. Il suo significato è abbastanza intuitivo: rappresenta i cicli stagionali, la resurrezione e l’anno nuovo che perpetuamente si rinnova mangiando la propria coda, ovvero l’anno vecchio.
Non ricorda, ad alcuni di voi, la serie fantasy distribuita da Amazon PrimeVideo “La ruota del tempo”? I protagonisti credono appunto nella reincarnazione e il logo della serie tv è proprio un uroboro. Persino gli anelli della sorellanza delle Aes Sedai, donne capaci di incalanare l’Unico Potere, raffigurano il serpente che si morde la coda.
L’anello del tempo
La circolarità dell’anno, d’altronde, è implicita nell’etimologia del suo nome. Anno, infatti, viene dal latino “annus” e, secondo Gaio Ateio Capitone, gli antichi Romani utilizzavano la particella “an” al posto di “circus” (intorno). Da “an” sono poi derivati l’arcaico “annus” (circolo) e “annulus” (anello).
“Annus” è dunque l’anello del tempo.
Storia del calendario occidentale
Nei paesi occidentali, la rigenerazione dell’anno passato si compie a mezzanotte del primo gennaio, ma in altre geografie l’anno nuovo inizia in un momento diverso (o per tradizione, o perché l’inizio è mobile).
Per esempio, nei paesi musulmani, il tempo è misurato nelle lunazioni a partire dal 16 luglio del 622 d.C., giorno dell’Egira, ovvero della fuga di Maometto dalla Mecca.
Alcuni popoli adottano il calendario lunisolare, cioè hanno i mesi lunari a cui aggiungono periodicamente alcuni giorni. Gli ebrei, per esempio, hanno un calendario lunare con dodici mesi di 29 o 30 giorni a cui ne aggiungono uno supplementare, chiamato “embolistico”, ogni tre anni (tra adar e nisan).
Persino in Italia siamo arrivati gradualmente al primo gennaio: nella Roma arcaica, con il calendario c.d. di Romolo, l’anno iniziava a primavera nel mese di marzo, dedicato al dio Marte, che secondo la leggenda era il padre dei fondatori Romolo e Remo. Anche per questo motivo, ancora oggi, marzo continua ad essere festeggiato come momento di rinnovamento cosmico.
Il calendario romuleo, quindi, era composto da soli dieci mesi: mancavano gennaio e febbraio, che furono aggiunti da Numa Pompilio alla fine del calendario. Con la riforma di Giulio Cesare, poi, gennaio e febbraio divennero i primi mesi dell’anno e il primo gennaio divenne l’unico Capodanno. A riprova di questo, in effetti, i nomi dei mesi del calendario attuale non corrispondono etimologicamente al loro ordine effettivo. Settembre, ottobre, novembre e dicembre sono infatti rispettivamente il nono, il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo mese dell’anno.
La dimora antica dei Veda
L’anno di dieci mesi era abbastanza problematico: creava un vuoto e non permetteva di coprire tutte le settimane. Viene spontaneo chiedersi come sia nato.
Il professore indiano Bal Gangadhar Tilak, nel suo libro “La dimora artica dei Veda” (1856-1920), formula una ipotesi. Questo studioso dimostrò che la dimora ancestrale del popolo vedico, e di quelli iranici ed europei, prima dell’ultima era glaciale (circa 110.000 anni fa) era da qualche parte al Polo Nord. Con la glaciazione questi popoli furono costretti a migrare verso sud, in Asia ed Europa, alla ricerca di un clima più sopportabile.
Una delle prove addotte da Tilak afferma che, secondo i Veda, i sacrifici annuali si svolgevano nei dodici mesi di luce, composti da due mesi estivi dove il sole non tramontava mai e otto mesi durante i quali si alternavano giorno e notte di durata variabile. I restanti due mesi di buio totale costituivano la lunga notte delle regioni artiche.
Il Cammino delle Vacche in dieci mesi
Fra i più antichi sacrifici annuali, i Veda descrivono il Gavâm-ayanam o Cammino delle Vacche.
La leggenda narra che le vacche, volendo ottenere zoccoli e corna, si riunirono per compiere sacrifici. Il decimo mese, ottenuto ciò che desideravano si alzarono, ma alcune rimasero sedute per continuare dicendo: “Compiamo l’anno”. A queste ultime caddero le corna per non avere avuto abbastanza fiducia nei riti.
Dopo aver proseguito i sacrifici per altri due mesi, le vacche senza corna, non le riebbero indietro, ma nei mesi di pioggia – durante i quali l’erba era alta – poterono pascolare più liberamente delle sorelle con le corna, che trovavano impedimento.
Questa favola allude sia al periodo in cui il popolo vedico compieva sacrifici al Polo Nord nei dieci mesi di luce, sia a quello successivo post emigrazione in cui proseguirono nelle precedenti tradizioni sacrificali. Rappresenta il conservatorismo che attuiamo quando non riusciamo a rinunciare a pratiche o comportamenti che ormai non sono più giustificati da una necessità o un’utilità reale.
Il mito ci invita a non aggrapparci al passato. Dobbiamo andare avanti e imparare a lasciare andare ciò che non ha più senso ed è finito.
Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei
L’anno nuovo è un nuovo inizio, una ripartenza.
L’uroboro insegna che ogni fine è anche un nuovo inizio, e tutto è collegato. Non dobbiamo rinnegare il passato, perché è parte di quel che siamo e ci aiuta a comprendere noi stessi.
Ricominciamo forti di nuove consapevolezze. Rinnoviamo le energie, ripartiamo con nuovo entusiasmo e accettiamo ciò che è successo nel vecchio anno per quello che é: passato, ma anche architetto del nostro presente e base di partenza per una miriade di possibilità future.