Il 2022 rappresenta un anno decisivo per le donne nell’ambiente del calcio italiano e mondiale. Dal trionfo del primo arbitro donna in Italia, al riconoscimento del professionismo del calcio femminile fino alla prossima direzione di tre donne ai mondiali in Qatar.
Lo storico maschilismo del calcio italiano
In Italia l’ambiente calcistico, fortemente maschilista, ha sempre mostrato una resistenza istituzionale e sociale all’apertura delle porte del professionismo alle donne. Nel paese il calcio non è solo uno sport, rappresenta un mezzo di espressione di identità culturale e una tradizione che si trasmette di generazione in generazione. Per comprendere le difficoltà cui sono sottoposte le donne che cercano di farsi spazio in questo ambiente, è necessario guardare indietro e riferirsi alla storia a cui il calcio è da sempre legato. Non si può spiegare completamente la diffidenza maschile nei confronti del calcio femminile senza rivolgere lo sguardo, per esempio, ai tempi del fascismo, quando le giocatrici del Gruppo femminile calcistico di Milano, furono costrette ad appendere al chiodo gli scarpini perché il calcio, secondo Mussolini, non era uno sport adatto alle donne. Per avere un quadro chiaro bisogna tenere a mente anche la storia più recente, i tempi (quasi presenti) in cui le calciatrici italiane non erano definite professioniste e quindi erano confinate in un umiliante dilettantismo.
Superare l’idea che il calcio sia una cosa da uomini
Nonostante i pregiudizi e la sottovalutazione a cui sono sottoposte, le donne hanno fatto molta strada per costruire la propria dignità sportiva e calcistica, cercando di superare la limitante dicotomia tra gli sport femminili e gli sport maschili. Oggi il calcio femminile sta conquistando il prestigio che merita sia sul campo che nelle professioni tecniche e di direzione; si sta lavorando per spegnere il silenzio mediatico che circonda le imprese femminili e per diminuire il gap che divide il calcio maschile da quello femminile a livello di prestigio e di risorse investite. Il processo di riconoscimento per le donne che lavorano nell’ambito calcistico si compie con primi passi che destano scalpore per i più conservatore, ma che potranno un giorno portare a vivere lo sport in chiave meno sessista e più meritocratico.
Il professionismo: il passo più importante nella strada dell’affermazione femminile nel calcio
Un primo passo significativo in questo percorso di svolta per le donne nel mondo del calcio è il riconoscimento del professionismo per le giocatrici; questo traguardo è stato raggiunto il 1 luglio del 2022, un giorno fondamentale per la storia dello sport italiano. Il professionismo garantisce contributi previdenziali, tutele mediche per maternità e infortuni, salari minimi uniformati, ma soprattutto la legittimazione professionale. Questo riconoscimento normativo ha significato tanto per le calciatrici italiane che possono investire nella loro carriera, uscendo dalla svilente dimensione del dilettantismo. Le tutele normative e remunerative infatti rappresentano una svolta per le donne nel mondo del calcio, garantendo che situazioni come quella che aveva coinvolto Alice Pignagnoli, la giocatrice che ha rischiato di perdere la sua carriera per essere rimasta incinta, non accadano più.
La lungimiranza della Germania e della Francia
Se, con fatica, in Italia le donne sono riuscite a conquistare ormai 3 anni fa il titolo di professioniste, è stato necessario aspettare di più perché potesse essere una donna ad arbitrare una partita di serie A. L’Italia è il terzo paese a nominare un arbitro donna per i campionati europei più importanti: la Germania e la Francia da diversi anni hanno aperto le porte alla direzione femminile di partite dei maggiori campionati maschili europei. Bibiana Steinhous, di Hannover, ha fatto il suo debutto nella stagione 2017/2018 in Bundesliga, la massima serie professionistica del campionato tedesco; in Francia, nel 2019, per la prima volta Stéphanie Frappart ha arbitrato una partita della Ligue 1 tra Amiens e Strasburgo.
Maria Sole Ferrieri Caputi, l’arbitro che ha fatto la storia
Il 2 ottobre nello stadio Mapei, a Reggio Emilia, durante la partita tra Sassuolo e Salernitana si è fatta la storia della serie A. Il fischio di inizio è stato dato da Maria Sole Ferrieri Caputi, assistita da Ranghetti e Vivenzi e dal quarto ufficiale Chiffi. La Gazzetta dello Sport l’ha definita precisa, sempre vicina all’azione e autoritaria dall’inizio alla fine della partita. La gavetta dell’arbitro, come ha richiesto di essere chiamata Ferrieri Caputi, è stata lunghissima e già nel 2015 era stata ingaggiata in serie D e un anno fa ha diretto la partita tra Cagliari e Cittadella, distinguendosi in Coppa Italia. Dirigere una partita della serie A è un sogno per ogni arbitro, ma per lei si è trattato di scrivere la storia di uno sport che sta lasciando alle donne lo spazio che si meritano.
Anche nei Mondiali cambierà qualcosa
Non solo in Italia, ma anche a livello internazionale sembra che qualcosa stia cambiando: la Fifa ha confermato che nei mondiali che si giocheranno in Qatar nel prossimo maggio, saranno presenti tre arbitri donne. La francese Stéphanie Frappart, la ruandese Salima Mukansanga e la giapponese Yoshimi Yamashita sono le protagoniste che, incluse nella lista dei 36 arbitri, scriveranno la storia della parità di genere nel calcio. Oltre a loro, ci saranno anche tre assistenti di gara donne: la brasiliana Neuza Back, la statunitense Kathryn Nesbitt e Karen Dìaz dal Messico. Secondo quanto riportato da Pierluigi Collina, presidente della Commissione Arbitri della Fifa, per la prima volta gli arbitri sono stati nominati senza tener conto del genere, ma solo dei meriti e delle carriere dei candidati.
Nonostante la sua storia di disparità, il calcio negli ultimi anni si sta finalmente aprendo a un processo di modernizzazione che segna una svolta decisiva per le donne nel mondo dello sport.