Annientamento: la fantascienza di Garland ambiziosa e ambigua con Natalie Portman

Fonte: wsj.com

Annihilation, noto da noi come Annientamento, è il secondo film di Alex Garland, che aveva già esordito alla regia con Ex Machina, film dove già si trovava uno degli attori dell’ultimo film, Oscar Isaacs. Tratto da romanzo di James VanderMeer, il film è costato 55 milioni di dollari anche se in sala è riuscito ad arrivare a soli 29 milioni.

Distribuito da Netflix il 12 di questo marzo, racconta di una biologa, Lena (Natalie Portman), che vive per molto tempo lontana dal marito Kane, militare (Oscar Isaacs) impegnato in una missione segreta. Tornato a casa, livido e quasi sena vita, l’uomo viene portato in una base segreta ed è lì che Lena disperata conosce la verità.

La dottoressa Ventress (Jennifer Jason Leigh) le spiega che suo marito era entrato all’interno di un’area aliena, in costante espansione, chiamata “bagliore”. Nessun altro aveva fatto ritorno. Non resta che alle due donne, aiutate da Cass Shephard (Tuva Novotny) Josie Radek (Tessa Thompson) e Anya Thorensen (Gina Rodriguez), entrare all’interno di quel mondo parallelo dove tutto è in costante mutazione.




Tralasciando la bassezza degli attacchi razzisti che hanno colpito la Portman e la Jason Leigh per il loro non essere d’etnie corrispondenti a quelle dei personaggi del libro, il film s’aggira in un contesto non ignoto alla fantascienza tradizionale.

Già film di più alto spessore hanno fatto ricorso al topos della Zona, dove tutto arriva alla resa dei conti, al contatto con l’Altro, con il Divenire psicologico. Qui il cambiamento è da principio fisico, raccontato con un linguaggio classico, simbolista ma non troppo (si veda il faro) e che lascia il finale aperto per la ricerca del significato ultimo allo spettatore.

Importante per la riuscita del film è la resa attoriale. Natalie Portman è a suo agio, attira l’attenzione, più duttile del solito perché non crogiolata in espressioni di dolore che le creano spesso addosso un’aria di maniera. Il cast l’accompagna benissimo. La stonatura sta nel linguaggio, proprio come in Arrival di Villeneuve: il film è troppo prosaico, borghese nel raccontare lo shock ed il panico nei confronti dell’ignoto. Gli americani non hanno il senso dell’esoterico.

Antonio Canzoniere

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