Anna Achmatova, fu una poeta russa nata nell’odierna Odessa nel 1889. Mise su carta le difficoltà di vivere e scrivere all’ombra della Rivoluzione bolscevica e successivamente dello stalinismo. Si distinse per aver scelto di rimanere nell’Unione Sovietica, come testimone degli eventi che la circondavano.
Si fece chiamare «poeta», al maschile, poiché non amò molto l’appellativo di poetessa.
Accenni di una vita segnata dalla guerra
La vita della poeta racchiude le ferite lasciate sul popolo russo dal regime e di una vita trascorsa in una patria che amò e che per questo non lasciò mai, con la conseguenza di esser stata condannata a lunghi periodi di esilio e di oblio per molte sue raccolte. Solo dopo la morte di Stalin e la successiva la destalinizzazione vennero pubblicate, diventando una preziosa testimonianza di tutti quegli anni vissuti durante la guerra.
Anna Achmatova non fu personalmente arrestata né deportata come le altre donne che ricorda nei suoi scritti, ma la sua voce “fuori campo” visse tutto ciò da molto vicino. Suo marito Nikolaj Gumilëv, anch’egli poeta, venne arrestato e giustiziato, mentre l’unico figlio che ebbe fu esiliato in Siberia per le sue opinioni anti-sovietiche.
La poesia achmatoviana dalla parte degli oppressi
“Requiem” è un ciclo di poesie che Anna Achmatova scrisse per dar voce alla sofferenza delle vittime durante la lotta per la libertà sotto il regime e per descrivere gli orrori delle purghe staliniane. È stato scritto nell’arco di tre decenni, tra il 1935 e il 1961. L’opera in russo è apparsa in forma di libro solo nel 1963 e l’intero lavoro non è stato pubblicato nell’Unione Sovietica fino al 1987. È diventata l’opera poetica più nota sul Grande Terrore sovietico ed è lo specchio della rivoluzione, della repressione e della guerra del ventesimo secolo.
Ella non supportò mai il regime comunista e fu avversa ad ogni insurrezione. Per questo sentì di dover metter nero su bianco la testimonianza di quegli avvenimenti, per non dimenticare ciò che la guerra portò via con sé.
Una poeta sui generis
Anna Achmatova leggeva Dante, Leopardi, Baudelaire, Mallarmè ed esordì giovanissima con i suoi versi. Ma negli anni Venti, la guerra irruppe nella sua vita, portando le sue poesie ad esser vietate per molto tempo.
Si può definire una poeta sui generis perché si seppe distinguere per la sua poetica singolare e atipica. Scrisse di vita e di morte, d’amore e di separazione, con una mirabile concisione, trasformando l’agonia in poesia. Poneva versi su carta con la dote di una notevole efficacia rappresentativa, a volte con una punta di sarcasmo, ma senza mai ricadere nella banalità.
Una donna che presentò l’amore nelle sue molteplici sfumature di un sentimento carnale, reale e concreto, nonostante la vita la mise alla prova con dolore e sofferenza. A questa passione si contrappose una vena più riservata, visibile dagli occhi malinconici che furono mostrati anche nei ritratti che si conservano di lei.
Nel 1912 venne fondato il movimento acmeista. Anna Achmatova aderì a questo gruppo, presentandosi come poeta d’amore, talvolta romantica e persino leziosa. Questa è, però, solo l’apparenza. In realtà, i tempi in cui visse evidenziano in lei tutta la drammaticità e la disarmonia alla quale è stata condannata.
Lei, custode di ciò che non è stato
Anna Achmatova scrisse per testimoniare e per custodire il futuro, nell’accezione di ciò che non è stato. Poiché il passato è stato annichilito dal regime, la custodia diviene un compito fondamentale per la poeta, per rammentare coloro che sono periti e stati dimenticati.
Questo atto di preservazione per una memoria solenne ed eterna, diventa anche il tema ricorrente nella poesia e nella vita della poeta. Fu sentita come una vocazione e una missione rara, specie nella Russia dell’epoca, tanto da costituire l’elemento distintivo della sua poetica.
Valentina Volpi