Angels wear white, Vivian Qu: “In Cina più diritti, ma ci sono ancora problemi”

Un film sulla condizione della donna in Cina, ancora lontana dall’essere tutelata pienamente dalla giustizia, nonostante i soprusi subiti siano palesi. La regista Vivian Qu è in concorso alla Mostra di Venezia con il film Angels wear white. La storia della 15enne Mia, unica testimone dello stupro perpetrato ai danni di due ragazzine di 12 anni da un notabile del luogo.

Angels wear white
Conferenza Angels wear white – Vivian Qu – Foto di Michele Lamonaca

Una storia cruda che condanna le mancanze di un società la cui crescita economica non è andata di pari passo con la tutela dei diritti fondamentali. “In effetti la Cina sta procedendo in modo progressivo verso una società di diritto ma contemporaneamente sta incontrando diversi problemi”, ha ammesso Vivian Qu in conferenza stampa.

Anche per lei è impossibile prevedere la reazione del pubblico cinese difronte alla sua storia che tocca argomenti sensibili come quello della violenza su minorenni. Comunque “temi del genere vengono molto discussi nel mio paese, ma il mio film non ha ancora incontrato la massa. Però nel corso delle poche proiezioni già fatte è andato molto bene. Anche grazie all’ottima interpretazione degli attori, ho fiducia nel fatto che sarà ben accolto”, ha spiegato la regista cinese.




La società del suo paese è in continua evoluzione, anche in fatto di gusti cinematografici. “Il gusto dei cinesi cambia di anno in anno – ha spiegato Vivian Qu -. Per molto tempo il pubblico è stato attratto dai film di cassetta ma poi è subentrata la monotonia, e piano piano l’interesse per i film come il nostro è andata crescendo”.

Conferenza Angels wear white – Foto di Michele Lamonaca

Le riprese sono state precedute da un lungo lavoro di preparazione. “Ho dedicato un anno alla scrittura delle sceneggiature perché non volevo trattare l’argomento in modo documentaristico, ma volevo inserire nella storia il mio pensiero. Alla fine, questa ricerca – ha spiegato la regista – mi ha permesso di trovare un punto di vista preciso, scegliendo lo sguardo di un’adolescente per guardare con i suoi cocchi il comportamento degli adulti”.

Il nome del film invece è nato per caso. “Prima di girare ho fatto dei sopralluoghi – ha raccontato Vivian Qu -. E sulla spiaggia ho visto tante coppie di sposi con lo strascico bianco che svolazzava al vento, e da lì ho deciso il titolo”.




Angels wear white: il film

In una piccola località di mare, due ragazzine di 12 anni vengono stuprate in un albergo da un uomo di mezza età che è anche un notabile del luogo. Mia invece di anni ne ha 15. Lavora nella struttura e volte fa i turni di notte. Lei è l’unica testimone della violenza. Ha visto l’uomo mentre entrava nella stanza delle ragazzine grazie alle riprese della videosorveglianza. Ma ha paura di dire la verità. Perché non vuol perdere il lavoro e perché è una clandestina senza documenti, che a mala pena conosce la sua età e il suo mese di nascita.

Per la 12enne Wen, una delle due vittime dell’aggressione, comincia un’odissea impensabile nonostante le prove offerte dal suo corpo profanato. I suoi genitori sono separati. Sua madre non le riserva le giuste attenzioni. E dopo il fattaccio reagisce in maniera isterica e ipocrita. Wen si rifugia da suo padre, dove invece trova serenità e desiderio di giustizia.

Conferenza Angels wear white – Foto di Michele Lamonaca




Mia, sfruttata dal titolare dell’albergo, non ha il documento d’identità e nemmeno i soldi per procurarselo. Alla fine decide di ricattare il violentatore, ma questo la fa picchiare selvaggiamente. Inoltre, sfruttando la sua posizione sociale e la sua ricchezza l’uomo riesce a corrompere polizia e medici, che negheranno i segni fisici della violenza e la lecita richiesta di giustizia del padre di Wen.

Mia decide di prostituirsi, pur di trovare la sua indipendenza economica. Ma difronte allo specchio, in attesa di ricevere il primo cliente, ha un ripensamento. E decide di fuggire via,  alla ricerca di quella libertà che il mondo le ha negato. Conclusione piena di speranza per un film onesto ma non di certo memorabile, che fa dell’impegno civile la sua cifra più alta.

 

Michele Lamonaca 

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