In Italia, l’immigrazione è ovunque. Non gli immigrati, ma proprio l’immigrazione in quanto argomento di discussione. Anche se i numeri degli immigrati non sono paragonabili a quelli di molti Paesi europei o di altre aree del pianeta, comunque sono sufficientemente elevati da comportare un impatto significativo sulla sfera economica, sociale e culturale.
Ne abbiamo parlato con Angelo Scotto, autore del libro “Emergenza permanente. L’Italia e le politiche per l’immigrazione”. Laureato in Cooperazione e sviluppo locale e internazionale, nel 2013 ha conseguito il Dottorato di ricerca in Scienza politica presso l’Università di Pavia, dove dal 2014 ha svolto attività di ricerca sulle politiche locali dell’immigrazione, collaborando al Tema strategico di Ateneo Migrat.In.G. (Migrations: towards an Interdisciplinary Governance model).
L’obbiettivo di questo volume è fornire un’analisi delle politiche italiane sull’immigrazione. Il focus principale è sui luoghi e sui soggetti che decidono come gestire i flussi migratori e la presenza straniera nel Paese. Il volume è diviso in tre parti. Nella prima vengono introdotti i concetti principali per definire le migrazioni, i numeri del fenomeno a livello globale, europeo e italiano. La seconda parte descrive l’apparato teorico per l’analisi delle politiche pubbliche, dalle forme di produzione delle policy agli attori coinvolti nel processo decisionale. Facendo riferimento a tali strumenti, la terza e ultima parte offre un resoconto sulla gestione dell’immigrazione in Italia, sul suo sviluppo e sui problemi aperti.
Quali concetti possiamo utilizzare per definire l’attività di migrazione umana in Italia e in Europa?
Il concetto più adeguato al momento è quello di emergenza, non perché i numeri dei flussi migratori verso l’Europa siano insostenibili, ma perché le scelte politiche del nostro continente, dalla forte riduzione dei canali di migrazione legale alla mancanza di solidarietà tra i paesi membri dell’UE, fanno degenerare l’aumento degli arrivi in una situazione di crisi. In Italia, poi, spesso sono proprio le politiche messe in atto a livello nazionale e locale a produrre emergenza esacerbando le problematiche esistenti.
Oggi, nel nostro Paese vige una pavimentata preoccupazione e ripugnanza verso l’intromissione di culture diverse, ma quand’è che l’Italia dalla gente solare e accogliente, calorosa e ospitale, è diventata questo grumo di rabbia, di violenza e di paura?
In realtà è proprio l’immagine degli “Italiani brava gente” a essere un mito, sfatato anche dalla ricerca storica sul colonialismo italiano in Africa. Il concetto di ospitalità, poi, si fonda proprio sull’idea dell’ospite, della presenza temporanea, e non si presta a descrivere l’atteggiamento nei confronti di migrazioni di periodo medio-lungo, se non permanenti. Basti ricordare le condizioni di vita dei migranti meridionali nel Nord Italia negli anni Cinquanta e Sessanta per capire che certi atteggiamenti di ostilità e chiusura non sono una novità del presente.
Negli ultimi decenni, quali sono stati gli “attori” che hanno giocato il ruolo più importante all’interno del fenomeno migrazione?
Le organizzazioni della società civile, dai sindacati alle associazioni di volontariato, svolgono un ruolo di supplenza nei confronti di governi e amministrazioni locali nell’accoglienza, e le loro competenze le hanno rese interlocutori importanti della politica. La Chiesa e le sue organizzazioni collaterali sono state determinanti sia nella gestione del fenomeno migratorio sia nel promuovere l’importanza della solidarietà presso i governi di diverso colore politico. Con il tempo, hanno assunto sempre maggiore importanza quelli che Luigi Manconi definisce imprenditori della paura: i leader e soggetti politici che sfruttano i timori sull’immigrazione per costruire il proprio consenso popolare.
Tra le tante problematiche che caratterizzano il sistema di accoglienza e integrazione, quale, secondo lei, ha un peso maggiore negli ingranaggi sociali che generano avversione verso patrimoni culturali diversi? Quali soluzioni considerare?
Se mi perdonate il gioco di parole, il problema principale è che ci sono tanti problemi correlati che si alimentano a vicenda. Detto questo, la mancanza di investimento forte sul sistema educativo, e in particolare sul suo rinnovamento per far fronte alle trasformazioni della odierna società globale, ha un effetto particolarmente negativo perché non offre ai cittadini italiani gli strumenti per affrontare in maniera adeguata la diversità multiculturale. Come per tanti altri problemi del nostro paese, la soluzione passa prima di tutto dalla valorizzazione della scuola.
Nota analogie sociali e politiche con periodi storici che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese?
Fare paragoni storici è sempre azzardato. L’Italia di oggi ha caratteristiche sociali e demografiche quasi inedite per la nostra storia, e anche l’essere un paese di immigrazione è un’esperienza relativamente nuova. Cercare di interpretare la situazione di oggi facendo riferimento a quelle del passato rischia di portare ad analisi errate.
Non crede che quello del flusso migratorio sia un problema eccessivamente abusato per scopi subdoli a sfavore di altre preoccupazioni che riguardano il nostro tessuto economico e sociale?
Indubbiamente sì, ma in un sistema democratico è normale che ciò accada. Senza togliere responsabilità a chi specula politicamente sull’immigrazione, i soggetti politici che sono a favore di politiche più razionali ed eque sul tema non hanno considerato a sufficienza i molteplici modi in cui l’immigrazione ha un impatto sulla società ricevente, con la conseguenza che per la maggioranza dei cittadini gli aspetti problematici correlati a questo fenomeno sociale hanno assunto una visibilità e un peso maggiore rispetto agli effetti positivi e alle potenzialità.
Quali soluzioni proporre per una corretta e più efficace gestione della migrazione umana in Italia?
Si dovrebbe puntare su figure professionali, a partire dal sistema di accoglienza sino ai processi di integrazione nelle diverse sfere sociali. Figure come quelle dei mediatori culturali dovrebbero essere maggiormente riconosciute, e anzi sarebbe utile investire sulla loro formazione per far fronte ai cambiamenti delle nazionalità prevalenti nei flussi verso l’Italia. Inoltre, si dovrebbe potenziare la collaborazione tra i diversi livelli di governo, locale, regionale e nazionale, per evitare conflitti e per scongiurare il rischio che su amministrazioni locali senza risorse o competenze adeguate cadano troppe responsabilità. Al di là dei provvedimenti specifici sull’immigrazione, maggiori investimenti sulle politiche sociali e abitative aiuterebbero a disinnescare il meccanismo della ‘guerra tra poveri’ che favorisce l’ostilità contro i migranti.
Quali scenari futuri aspettarsi per la migrazione umana in Italia?
L’Italia è già diventato un paese soprattutto di transito per i flussi migratori, perché non offre prospettive economiche valide, e nulla lascia intendere che le cose cambieranno nei prossimi anni. Nel frattempo, i provvedimenti annunciati dal governo vanno in direzione contraria rispetto alle proposte che ho elencato prima. Forse i futuri sviluppi economici e internazionali renderanno meno importante l’immigrazione agli occhi dell’opinione pubblica, ma questo non porterà necessariamente a una migliore gestione del fenomeno.