Prodi colpevole?
L’intervento della studentessa bolognese che chiede al Presidente Prodi di ammettere le sue responsabilità rispetto alla condizione attuale, rispetto a una generazione Erasmus che “è solo una favola” impazza nella rete.
D’altronde la società ha sempre avuto un debole per le crocifissioni, per la caccia alle streghe, per le pubbliche esecuzioni. E come Ponzio Pilato, di ogni responsabilità, se n’è sempre lavata le mani.
Meno virale la risposta del Presidente, su cui tuttavia bisognerebbe, almeno in parte, riflettere.
“Lei dice di fare parte della Generazione Erasmus ma come rimedio vuole ripristinare le frontiere, mi pare strano. Questa sarebbe la fine non solo dell’Europa ma anche dei nostri Paesi. Se siamo in questa situazione non è a causa dell’Unione Europea ma di un capitale assolutamente mobile e di un lavoro che invece rimane fisso.”
Una questione di responsabilità
Io faccio parte di quella generazione Erasmus su cui onestamente non mi sento di sputare sopra, oggi come al domani della Brexit, di fronte al quale i ragazzi inneggiarono contro la distruzione della “favola” della generazione Erasmus.
Credo che la frontiera sia l’arma di differenziazione comunitaria più umiliante che possa essere ripristinata oggi, che favorisce il regresso anziché il progresso.
L’Europa, a me come a tutti coloro i quali fanno parte della mia generazione, ha permesso scambi culturali, incentivi e aiuti e lo continua a fare ogni giorno. Dalle scuole inferiori fino all’istruzione magistrale.
Ha sempre tutto ciò costituito un investimento, un investimento che pochi Paesi fanno se volessimo guardare altrove.
Finché l’idea dell’”insieme si può” ha retto questa Europa ha fatto del bene senza chiedere nulla in cambio, se non la responsabilità di ogni singolo Paese a che facesse sì che il futuro potesse essere prospero.
Lo ha fatto perché ha deciso di credere nel welfare, nei giovani, diversamente da pochi posti al mondo. Un’isola felice in mezzo a terre abitate da lupi.
La “favola” si è conclusa nel momento in cui la contingenza di un pericolo ha cominciato a venir meno e ognuno, molto volgarmente, ha iniziato a guardare solo in casa propria non pensando più al potenziale di lungo termine che quell’idea potesse avere.
Un esempio di questo vizio è dimostrato da un accordo che al domani della Seconda Guerra Mondiale tutti hanno voluto. Mi riferisco alla Nato, a cui l’Europa ha smesso di pagare le relative quote di difesa imposte, nell’erronea considerazione che qualora un pericolo reale possa arrivare, saremmo pronti a sventarlo.
L’Europa della mobilità
Potrei essere spocchiosa e dire che quest’Europa non mi ha dato nulla, eppure per me quest’Europa ha fatto tanto.
E’ l’Europa del Progetto Leonardo, del programma Erasmus, dei 3,2 miliardi senza cofinanziamento statale per favorire l’occupazione giovanile, del programma IOG, dello Youth Guarantee, dell’Alleanza Europea per l’apprendistato, in cui sì, andrebbe garantito un funzionamento della mobilità che non umili la nuova forza lavoro lasciando che si trasformi in un grande strumento di sfruttamento da parte delle aziende.
Opportunità tuttavia.
Sarei potuta nascere negli idolatrati Stati Uniti, dove la controbilancia del mito del self made man, apre le strade a una realtà per cui forse un’università buona, con le sue rette assurde, non me la sarei potuta permettere, se non indebitandomi a furia di mutui che chissà se un giorno sarei riuscita a pagare.
Perché la crisi è globale e il lavoro ovunque è precario.
Avere il coraggio di difendere un’Europa che non chiede passaporti, che offre un’esperienza che i nostri genitori non hanno avuto è quasi simile a una vergogna.
Eppure in un modo internazionalizzato, globale, quell’Europa criticata, odiata, cinica, insensibile, ha dato l’opportunità di guardare oltre delle prospettive che altrimenti sarebbero state inimmaginabili.
Ci sono problemi nel mercato del lavoro, vi sono problemi ovunque. Questa tuttavia non è colpa del Presidente Prodi, non è colpa di chi ha semplicemente creduto in un progetto comunitario.
Considerazioni
Non chiedo al presidente Prodi di chiedermi scusa. Non lo ringrazio, ma non credo debba delle scuse a una generazione.
Credo che le scuse vadano chieste a quegli stati che hanno deciso di far prevalere i propri interessi nazionali rispetto a quelli comunitari, che hanno seppellito l’idea di un’Europa di sviluppo e crescita, di un’Europa che potesse diventare un esempio.
Credo anche che le scuse vadano chieste non al Presidente Prodi ma a quella parte della mia generazione che quando eravamo in pochi a scendere in piazza chiedendo dei diritti andava al bar a prendere un caffè, ritenendo che quella vita apatica rispetto alla politica potesse produrre effetti.
A chi non ha mai letto un giornale ed oggi, venuti tutti i nodi al pettine, si rifugia nell’antipolitica e osa far lezione a chi come Don Chisciotte vedeva i problemi agli albori e chiedeva da anni un intervento.
A chi vuole prevaricare con il populismo, a chi guarda l’immediato e non il futuro.
A chi grida a una piazza affamata riempendo i suoi discorsi di luoghi comuni, alimentando violenza, divisione, odio, che tanto mi ricorda chi, quando la recessione incombeva, diceva che i ristoranti erano pieni.
Oggi è colpa dell’establishment, dei media, delle agenzie di rating e del liberismo. È sempre una questione di colpe, distribuite dai nuovi tribunali delle verità celate e dei complotti a buon mercato.
Alla semplicistica la lettura delle responsabilità in termini di colpe efferate, preferisco la complessità delle spiegazioni. Chiunque ha la possibilità di scegliere due vie, quella superficiale che si ferma alla forma e quella sostanziale che scende all’evento.
Quando qualche anno fa il primo governo tecnico, il governo Monti, si insediò, in una condizione di totale emergenza, con il rischio di default a portata di mano e uno spread a quota 528 punti – quando oggi sono 180 punti a spaventarci – e arrivò la riforma Fornero ci fu un’ondata di polemica generale.
L’ardua considerazione che si trattasse di una misura d’emergenza, nel Paese dei balocchi, ha toccato ben pochi.
Indignarsi allora però era giusto. Stavamo evitando la bancarotta e una condizione ben più grave, che i telegiornali per altro ci mostravano attraverso le immagini di Atene, ma indignarsi per delle misure d’emergenza era giusto.
L’austerity è stata una mossa politica sbagliatissima, di fronte al quale lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha fatto un passo indietro e chiesto scusa. È stato questo forse il momento in cui si è palesata l’umanità di un’organizzazione composta da uomini, che possono da tali sbagliare.
Certo, credere non vi siano mai interessi in ballo è ingenuo, ma quanto ritenere che sia tutto il frutto di un universale complotto di folli megalomani.
Non chiedo al presidente Prodi di chiedermi scusa. Ringrazio la studentessa bolognese tuttavia per avermi fatto pensare a chi deve davvero dovrebbe chiederci scusa.
A chi ha reso possibili per anni le baby pensioni, a chi ha rimandato normative urgenti, a chi non ha voluto investire sul futuro ma sull’immediato, agli assenteisti, a chi ha avuto quel posto a tempo indeterminato all’interno del pubblico e si è poi sentito autorizzato a fare ciò che voleva, deteriorando una burocrazia che non ha mai funzionato. A chi non ha pagato le tasse per anni, a quegli evasori che ritenevano e ritengono tutt’ora di doverla far sempre franca.
Sapete, io non me la prendo con il Presidente Prodi. Credo nella responsabilità di una classe politica, ma soprattutto a quella di un popolo che ha preferito la furbizia alla civiltà.
Mi troverete sempre in prima linea nella difesa dei diritti, come lo sono sempre stata, in una lotta sentimentale che non può prescindere dall’ammissione della verità. E quando alla polemica si preferirà la legale protesta, al dissenso preferirò l’elogio.
Che sia una voce fuoricampo, impopolare, severa, sadica. Ma il rifugio nella responsabilità altrui senza vedere la propria è l’irrimediabile vizio dei codardi.
Ilaria Piromalli