Arriva notizia dall’Università del Nuovo Messico di uno studio sui costi ambientali della criptovalute, la ricerca è stata pubblicata su Energy Research & Social Science.
Innanzitutto chiariamo una cosa, so che non appena viene detto qualcosa che sembri una critica alle criptovalute (bitcoin e compagne) insorgono i difensori che gridano contro i governi e le banche cattive che temono di perdere potere e dunque farebbero la guerra alla moneta elettronica, vorrei tranquillizzarli, oggi per gli economisti fare l’analisi completa dei costi (compresi quelli energetici/ambientali) di qualsiasi attività che crei valore è la prassi, non è qualcosa che si sono inventati per le criptovalute.
Detto questo spieghiamo cos’è il mining e perché tanti lo fanno. Le monete come il bitcoin esistono senza il bisogno di un governo o un’istituzione bancaria centrale che ne assicuri il valore perché utilizzano un sistema in cui la pubblicità di ogni transazione e la concordanza tra tutte le registrazioni delle transazioni è la garanzia. In pratica si tratta di un sistema peer-to-peer in cui la community stessa garantisce le transazioni. Ovviamente la sicurezza del sistema informatico è vitale, alla base ci sono degli algoritmi di criptografia complessissimi, per risolvere questi algoritmi serve una grande potenza di calcolo, tanto che i “miners” che si dedicano al compito vengono ricompensati con frazioni della criptovaluta.
Lo studio firmato da Andrew Goodkind, Benjamin Jones e Robert Berrens (i primi due assistenti professore e il terzo professore di economia presso la suddetta università) fa uno stima dell’impatto ambientale proprio delle tecniche di mining delle criptovalute.
Confermando quanto ho scritto nella premessa Berrens spiega che lui e i colleghi si occupano da sempre di stimare i danni economici, dovuti all’impatto sulla salute e sull’ambiente, di differenti attività e settori economici. Ad esempio in epoca di riscaldamento globale quando si fanno i conti del settore agricoltura si considera anche l’impatto ambientale dovuto al consumo di energia.
Come ho detto il mining di criptovalute richiede molta energia, sono nati dei veri e propri campi di mining, cioè strutture con potenti hardware (server) vocati allo scopo che si stanno concentrando in posti che offrano una connessione internet veloce e bassi costi dell’energia. Non sorprenderà nessuno scoprire che nella decisione di dove andare non ci si preoccupa di come quell’energia a basso costo sia prodotta e questo naturalmente innalza i costi ambientali delle criptovalute.
I risultati dello studio sono sconcertanti, nel 2018 per ogni dollaro di valore finanziario creato in bitcoin negli USA si sono registrati danni al clima e alla salute per 49 centesimi, ma in certi momenti dell’anno il rapporto è arrivato addirittura alla pari, cioè il costo dei danni pareggiava quello del valore degli scambi finanziari. I danni essenzialmente sono tutti legati al grande consumo di energia e quindi richiesta di maggiore produzione effettuata bruciando combustibili fossili, il che significa liberare nell’atmosfera anidride carbonica, polveri sottili, ossido di azoto, anidride solforosa.
Roberto Todini