Esiste una linea netta che separa amore e possessione eppure questa, nonostante tutta la sua evidenza, tra stereotipi e luoghi comuni, tende ad assottigliarsi. La psicologia sottolinea allora, in soccorso alla salute delle relazioni, che amare qualcuno significa desiderare pienamente la sua felicità, anche se ciò prevede la separazione
Superficialmente può sembrare banale sostenere che l’amore consista primariamente nel desiderare sempre la felicità dell’altrui persona, nei fatti però influiscono e prevalgono spesso ego, ansia e gelosia, eclissanti per la gioia. Tutte variabili che nel crescere incontrano ed arricchiscono solo tossicità. Amore e possessione, così lontani, sempre più vicini.
“Tu mi appartieni”
“Ho bisogno che tu sia sempre con me”
“Senza di te non potrei farcela/non posso vivere”
Apparente innocenza, profonda nocività.
Tali affermazioni sono utilizzate in larga misura e questo tende a renderci neutrali nell’ascoltarle e nell’accoglierle. Un doppio problema: perché queste asserzioni segnano un primo e rischioso passo nella direzione del malsano e perché la loro diffusione le ha rese innocenti ai nostri occhi. Un’ingenuità incapace di impedire l’insinuazione del velenoso.
È una distorsione emotiva radicata, nella quale tanti entrano spesso inconsapevolmente e comprensibilmente a causa dell’assente educazione completa in merito. Ridondanti associazioni all’egoismo, finiscono infatti per evitare la costituzione di un dibattito formativo circa la serenità ottenibile anche e soprattutto nell’individualità.
No, non si tratta di ridicolizzare o sottostimare il romanticismo ma di analizzare attentamente il peso e il valore delle parole, dei gesti, delle abitudini che si assumono in ambito relazionale.
Misurare la qualità dell’amore prima ancora della sua quantità
Ogniqualvolta si considerano le persone come completamenti del proprio personale essere si circoscrive l’amore alla fusione. Ne conseguono le richieste: di maggiore tempo da trascorrere assieme, di maggiori attenzioni, di minori distrazioni. E nell’insoddisfazione l’istanza diviene pretesa: si è nella dipendenza, che in ogni sua forma è malattia.
Si sta semplificando, ma con uno scopo chiaro, ossia evidenziare come molto di ciò che riversiamo nella coppia derivi dalla percezione e dalla consapevolezza che possediamo di noi stessi. Sono le nostre fragilità ed insicurezze a rappresentare il pericolo peggiore per l’altro, perché possono assumere come riflesso, la forma del limite. Nel passivo è un confine, nell’attivo è una possessione.
Sono molteplici le estremità a cui anche le più banalizzate consuetudini possono condurre, dall’oppressione alla co-dipendenza, dal narcisismo all’ossessione e alla manipolazione affettiva. Sagome insidiose da cui è indispensabile tutelare l’intimo affetto.
All’opposto, l’amore sano conosce la condivisione e l’unione. Un perfezionamento ricco di passione estraneo a un reclamato cambiamento. Come fosse integrazione che però non annulla la singolarità ma riconosce e valorizza, sempre, l’individualità del compagno di emozioni. Nessuna forzatura, nessun artificio. Non nega utopicamente difficoltà o sofferenze, ma sa travalicarle, se e quando lo sforzo è compiuto consapevolmente da ambo i partecipanti.
Azione e scelta, coscienti e stimolanti.
Ripartire dalla singolarità
Perciò per poter avere cura di una vita condivisa è necessaria, come prefazione, l’abilità dell’amor proprio. Insegnare a noi stessi a vivere nella completezza come singoli non è obbligatoriamente un salto nell’egocentrismo, non se l’obiettivo primario è proprio quello di assumere la capacità di vivere l’amore nel suo apogeo di benessere.
Innamorati di te, della vita. Dopo, di chi vuoi.
Frida Kahlo