In una realtà sempre più complessa, con un pianeta in ginocchio e la minaccia di una guerra mondiale all’orizzonte, Amnesty da sempre lotta per tenere accesa la luce. La solidarietà abbraccia la speranza sul fondo del vaso di Pandora; vera risorsa e unica prospettiva rispetto a quei diritti per la cui tutela non dovrebbero essere necessari compromessi.
Moltissime sono le organizzazioni internazionali non governative di cui si sente spesso parlare in qualità di parti nell’articolata dimensione geopolitica attuale. Nella selva oscura di interessi economici e fini egoistici, sotto il controllo ipnotizzante del Dio denaro, le ONG giocano una partita impostata su altre coordinate. Dipingendo l’arcobaleno nei campi di battaglia di un mondo dilaniato, sono i paladini di quei diritti fondamentali calpestati da un’umanità troppo spesso disinteressata a rispettarli.
Ne parliamo con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, per conoscere meglio traguardi e progetti di un’organizzazione che non ha mia smesso di guardare al futuro.
- Il quadro emergente dall’ultima relazione effettuata da Amnesty è particolarmente complesso. Alla luce di un biennio quale quello del 2020-2021 ricco di eventi. A partire dalla pandemia, non certo d’aiuto davanti a situazioni di criticità già accentuate. Quali sono i conflitti più significativi e quali le violazioni più frequenti dei diritti umani registrate?
Per quanto riguarda il 2021, sicuramente, il fatto più grave è stato il ritorno dei Talebani al potere in Afghanistan che, come ci ha detto un attivista per i diritti umani, “ha spento la luce”. Dopo più di 20 anni, sebbene difficili, ricchi di eventi in cui tante persone avevano provato a costruire un Afghanistan più inclusivo e democratico. Nonostante la violenza, l’occupazione militare e i gruppi armati siano stati una costante. Siamo tornati indietro di 25 anni, quando i Talebani arrivarono per la prima volta in Afghanistan con la loro agenda misogina, la loro brutalità e la loro incapacità di governare. Poi tutto il 2021 è stato attraversato da un conflitto dimenticato in Etiopia, tra le forze centrali e quelle del Tigray. In cui è stato all’ordine del giorno il fenomeno gravissimo dello stupro di guerra. Soltanto nelle ultime settimane c’è stato uno sviluppo positivo. Grazie ad una tregua che dovrebbe consentire di portare soccorso a più di cinque milioni di persone in Tigray che sono alla fame. I conflitti in Syria e Yemen sono andati avanti. Ancora in Myanmar c’è stato un colpo di Stato nel febbraio scorso che nei mesi successivi ha provocato 1700 manifestanti uccisi. Come vede sto parlando di conflitti che la comunità internazionale non ha fermato. Non c’è stata giustizia per i crimini commessi, anche quelli da parte delle stesse forze russe in Syria, che hanno aperto la strada al ritorno della guerra in Europa.
- Lei è il portavoce di Amnesty International Italia, della quale fa parte sin dal 1980. Le chiederei quindi di aiutarci a sbirciare dietro le quinte di quella che è un’organizzazione il cui contributo, a tutela dei diritti fondamentali nei teatri di atroci conflitti, è indubbio. Ad esempio potremmo parlare di due concetti a cui si fa spesso riferimento per le ONG: advocacy e lobbing. Termini però di uso non comune nella lingua parlata e poco noti al pubblico. Riccardo Noury può dirci di cosa si tratta?
E’ vero, anche perché frequentemente preferiamo impiegare termini inglesi quando si potrebbe semplicemente dire: sensibilizzazione e pressione politica. Sensibilizzazione dell’opinione pubblica che coinvolgiamo da 60 anni nel firmare appelli e donare in quanto siamo un’organizzazione auto finanziata. Pressione politica perché per quanto crediamo fermamente che il cambiamento in favore dei diritti umani debba avvenire attraverso processi di formazione ed educazione, poi ci vogliano le leggi. Quindi l’obiettivo è quello di far si che chi ha il compito di prendere decisioni riguardanti i diritti umani le prenda in modo positivo.
- Dietro i risultati raggiunti vi è un’inesauribile attività non priva di ostacoli. Basta spostarsi sul mappamondo, a pochi passi dalla nostra quotidianità, per citare un caso concreto. E’ recente la notizia della chiusura delle sedi di Amnesty a Mosca. Quali sono le conseguenze di questa scelta? Quali ritiene siano le possibili strade per l’operato dell’organizzazione attualmente in Russia?
Rispetto alla prima parte della sua domanda la difficoltà che incontriamo da decenni nelle relazioni internazionali è la mancanza di priorità nell’ agenda della comunità transnazionale per i diritti umani. Questa è una caratteristica che non riguarda singoli governi o sistemi politici ma il posto che hanno i diritti umani nell’elenco delle cose importanti. Stanno sempre dietro economia, armi e sicurezza. Hanno chiuso l’ufficio di Amnesty a Mosca l’8 aprile. Continuiamo a chiedere al ministero della giustizia il perché senza ottenere risposta. E’ superfluo che ce la diano anche se si tratta di un atto che pretendiamo. Aver denunciato da ultimo i crimini di guerra commessi in Ucraina e aver per decenni richiesto il rispetto dei diritti delle persone (espressione, manifestazione e stampa), ci ha fatti finire in rotta di collisione con un sistema sempre più intollerante ed autoritario. Però se pensano che chiudendo un ufficio ci chiuderanno la bocca sbagliano. La Russia è l’ultimo degli Stati in ordine temporale che non consente ad Amnesty International di avere un suo ufficio nel Paese. Pazienza, continueremo a lavorare in altro modo. Non è un peccato per noi, lo è per le persone che in Russia hanno perso un punto di riferimento.
- Guardando alla vicina Ucraina le notizie diffuse dall’inizio del conflitto hanno descritto disagi importanti e crimini di guerra feroci. Cosa può raccontarci Riccardo Noury di questo conflitto dalla prospettiva di Amnesty, scesa in campo in prima linea per la difesa dei diritti universali che non hanno bandiera?
E’ un conflitto sporco, come tutti i conflitti. Chi pensava che, considerato lo sfondo europeo, sarebbe stato meno cruento e avrebbe risparmiato i civili si sbagliava. I civili hanno sopportato e sopportano il peso maggiore della guerra. Abbiamo registrato decine di crimini di guerra contro la popolazione civile ucraina da parte delle forze russe. Undici milioni di ucraini non hanno più una casa in cui stare. Cinque milioni sono fuori dal Paese e gli altri stanno disperatamente cercando un luogo sicuro all’interno dell’Ucraina, con la prospettiva magari di uscirvi anche loro. Stiamo facendo ricerche sul campo tramite nostri esperti che intervistano testimoni, parenti di vittime e sopravvissuti. Si fanno raccontare nel dettaglio cosa sia accaduto. Tutto questo lo facciamo per rendere noto che c’è un tema grave di crimini di guerra in Ucraina che chiama in causa la Russia; ma anche per rafforzare le indagini che il Tribunale Penale Internazionale sta facendo proprio su quanto sta accadendo. Le prove che raccogliamo servono alla giustizia. Perché quando poi finirà la guerra non subentri il tempo dell’impunità.
- Russia e Ucraina non aderiscono al Tribunale Penale Internazionale. Considerando il fondamento pattizio del diritto internazionale, come può risolversi questa mancata partecipazione dei Paesi chiave del conflitto?
E’ per fortuna irrilevante. E’ vero che l’Ucraina non ha mai firmato lo statuto del Tribunale e la Russia si è ritirata nel 2016. Però l’Ucraina il 1 settembre del 2015 ha fatto una dichiarazione ufficiale, con cui riconosce la giurisdizione del Tribunale ad indagare su crimini di sua competenza avvenuti nel Paese a partire dal 2014.
- Possiamo già individuare i prossimi obiettivi sull’agenda di Amnesty che, anche alla luce delle vicende avvenute nell’anno in corso, non lo rendono meno impegnativo dei precedenti?
Le violazioni dei diritti umani si verificano spesso in continuità da un anno con l’altro. Il 2022 è l’anno in cui continueremo a chiedere alle aziende farmaceutiche di ricevere i brevetti, che consentano una produzione e distribuzione più veloce ed efficace dei vaccini. Sul tema della giustizia, ci auguriamo che il Tribunale Penale, a cui ho accennato, chiuda presto la sua indagine ed emetta un mandato di cattura. Poi bisognerà vedere come proseguirà questo procedimento. Ci sono obiettivi che Amnesty ha riguardo i vari Paesi. Per l’Italia ad esempio vorremmo che, a proposito di lobbing, ci fosse più coraggio per affrontare finalmente leggi adeguate a proteggere gruppi vulnerabili. Sto parlando della ripresa del percorso del così detto DDL ZAN, fermatosi lo scorso anno. Inoltre speriamo che nel 2022 cessi questa onda lunga della criminalizzazione della solidarietà, diretta sia nei confronti di singoli sia di ONG che si occupano di immigrazione ed accoglienza. Proprio in quest’anno ci saranno dei processi in Italia e ci auguriamo che terminino con un’assoluzione e che siano gli ultimi di questa stagione di criminalizzazione attraverso leggi, narrative ed indagini giudiziarie.
Sofia Margiotta