In un rapporto, Amnesty International mette in luce preoccupanti rischi di discriminazione legati all’uso dell’intelligenza artificiale (IA) da parte dell’ente responsabile del welfare danese, Udbetaling Danmark (Udk). Secondo l’organizzazione, l’automazione del sistema di welfare, mirata principalmente all’identificazione dei sospetti di frode nei sussidi sociali, ha comportato una serie di violazioni dei diritti umani, con un impatto sproporzionato su alcune categorie sociali come persone con disabilità, individui a basso reddito, migranti, rifugiati e minoranze etniche.
La sorveglianza di massa nel welfare danese e i rischi per la privacy
Il rapporto di Amnesty, intitolato Ingiustizia programmata: sorveglianza e discriminazione nello stato sociale automatizzato della Danimarca, descrive un sistema complesso e pervasivo, che utilizza algoritmi avanzati per tracciare e segnalare possibili casi di abuso dei benefici sociali. Tuttavia, Amnesty sottolinea come questo processo di monitoraggio non solo comporti il rischio di discriminazione, ma si traduca in un’estensione della sorveglianza di massa nella vita privata dei beneficiari.
In un contesto in cui il welfare dipende sempre più dalla tecnologia, le autorità danesi hanno introdotto strumenti di IA per prevenire la frode nei sussidi sociali, basandosi sull’analisi di enormi quantità di dati personali. Questi algoritmi, che integrano fonti di informazioni quali redditi, spese e legami familiari, mirano a individuare automaticamente i casi sospetti, ma possono produrre falsi positivi. Di fatto, Amnesty evidenzia come i dati personali di molti cittadini vengano trattati come un potenziale rischio, causando un clima di sospetto generalizzato e alimentando sentimenti di insicurezza e timore tra i beneficiari.
Impatto sulla dignità e sui diritti delle persone disabili e delle minoranze
L’applicazione di algoritmi per rilevare sospetti di frode colpisce in particolar modo i gruppi sociali già vulnerabili, come le persone disabili. Spesso, infatti, le persone con disabilità sono oggetto di controllo continuo per dimostrare la necessità di sostegno economico. Secondo Amnesty, questa forma di automazione comporta una svalutazione della dignità delle persone coinvolte, trattate alla stregua di “casi” da analizzare piuttosto che come individui con specifiche esigenze e diritti.
Il sistema di welfare automatizzato potrebbe inoltre intensificare il profiling etnico, con conseguenze particolarmente negative per migranti, rifugiati e gruppi razziali emarginati. Gli algoritmi, infatti, elaborano modelli basati su dati pregressi che spesso rispecchiano pregiudizi sistemici, rischiando così di perpetuare e amplificare le discriminazioni storiche nei confronti di minoranze etniche. Questo fenomeno viene definito come “bias algoritmico”, ossia una tendenza discriminatoria insita nel processo decisionale automatizzato, in cui i modelli matematici possono replicare ingiustizie esistenti nella società, aumentando così il rischio di esclusione sociale e marginalizzazione.
Limitazioni e rischi dell’automazione nel welfare
L’automazione dei sistemi di welfare, pur offrendo potenzialmente efficienza e risparmi, solleva questioni etiche profonde e complesse. Amnesty sottolinea che l’affidamento cieco su processi algoritmici può rendere il welfare meno accessibile e meno umano. Infatti, le persone svantaggiate o con capacità ridotte di comprendere e contestare il funzionamento dell’IA si trovano spesso in una posizione di impotenza nei confronti delle decisioni automatiche, poiché i meccanismi che portano a queste conclusioni sono complessi e opachi.
Il principio dell’imparzialità e della trasparenza risulta fortemente compromesso, poiché molti cittadini non hanno accesso a spiegazioni comprensibili riguardo al perché una decisione specifica sia stata presa nei loro confronti. In un contesto di welfare, l’assenza di trasparenza nelle decisioni automatizzate mina anche il diritto delle persone a una corretta assistenza, essenziale per vivere con dignità e sicurezza. Amnesty sottolinea che senza la possibilità di contestare facilmente le segnalazioni di frode, i beneficiari potrebbero vedersi negati sussidi di vitale importanza.
Il paradosso della privacy e la crescente dipendenza dall’IA
Il rapporto mette in luce anche un paradosso emergente: nonostante l’uso dell’IA sia giustificato come misura di efficienza, l’implementazione di questi sistemi comporta spesso la raccolta e l’analisi invasiva di dati sensibili, contravvenendo a principi di privacy e riservatezza. Amnesty mette in guardia contro l’intrusione dello Stato nelle vite private dei cittadini, che sfocia in un sistema di sorveglianza pervasivo, con ripercussioni profonde sul concetto stesso di welfare e sull’equilibrio tra sicurezza e libertà individuale.
Sotto il pretesto della lotta alla frode, l’ente danese di welfare ha creato un’infrastruttura di monitoraggio digitale che si basa su analisi predittive dei comportamenti dei cittadini. Questo approccio non solo limita il diritto alla privacy, ma impone una forma di controllo costante, che può scoraggiare le persone più vulnerabili dall’accedere a sostegni economici per paura di essere sottoposte a verifiche ingiustificate o invasive.
Raccomandazioni di Amnesty per un welfare più equo e rispettoso dei diritti
Nel tentativo di promuovere un cambiamento positivo, Amnesty ha avanzato una serie di raccomandazioni. Innanzitutto, esorta le autorità danesi a rivedere il sistema di welfare automatizzato, rimuovendo elementi di sorveglianza non necessari e garantendo che gli algoritmi siano testati per prevenire discriminazioni. È essenziale che i dati utilizzati siano limitati e che i cittadini possano accedere a meccanismi di trasparenza e di ricorso, in modo da permettere la contestazione di eventuali decisioni negative prese a loro riguardo.
Amnesty richiede inoltre che l’IA sia applicata in modo etico, con un’attenzione particolare alla protezione delle minoranze e dei gruppi vulnerabili. Questo implica una maggiore attenzione alle questioni di bias algoritmico, assicurando che i modelli predittivi siano soggetti a revisione continua e che siano sviluppati metodi per identificare e correggere i pregiudizi latenti nei sistemi.
Una problematica globale: il caso danese come esempio internazionale
Il caso di Udbetaling Danmark evidenzia una problematica che va oltre i confini nazionali, poiché sempre più Stati ricorrono all’IA per gestire il welfare. Amnesty denuncia come, se non regolamentata, la tecnologia possa diventare un’arma a doppio taglio, rischiando di erodere i diritti umani in nome della sicurezza e dell’efficienza economica.
L’esperienza danese è dunque una lezione di grande importanza per i governi che intendono adottare sistemi simili. La necessità di bilanciare l’uso dell’IA con la tutela dei diritti fondamentali è un tema che richiede un dibattito serio a livello internazionale. Amnesty sottolinea che è fondamentale che i governi adottino un approccio responsabile, che contempli non solo la lotta alle frodi ma anche la protezione dei diritti civili.
In direzione di un welfare tecnologico ma rispettoso dei diritti
Amnesty International conclude il rapporto sottolineando che la transizione verso un sistema di welfare digitale deve essere accompagnata da una rigorosa attenzione ai diritti umani e alla trasparenza. Se l’IA può contribuire a migliorare l’efficienza amministrativa, non deve però diventare uno strumento di discriminazione e di violazione dei diritti.
L’ente di welfare danese, con il suo attuale approccio, sembra avere creato un modello che suscita non solo dubbi ma anche preoccupazioni a livello sociale, sollevando interrogativi sul reale costo umano dell’automazione.