Amnesty denuncia che i migranti subsahariani sono vittime di operazioni di espulsione dalla Tunisia verso la Libia. Le testimonianze raccolte da oltre 30 migranti mostrano un quadro allarmante di violazioni dei diritti umani, tra cui tortura, sequestro, e tratta di esseri umani organizzata dallo stato tunisino. Queste persone vengono vendute a milizie e trafficanti libici in una catena che ruota attorno a enormi violenze fisiche, ma anche al traffico di documenti e telefoni utili per riscatto.
Le responsabilità dell’Ue e dell’Italia
Il report su cui si basa Amnesty International evidenzia le implicazioni politiche e finanziarie dell’Unione europea e dell’Italia in questi crimini di stato. I fondi europei, infatti, vengono utilizzati per equipaggiare le forze di sicurezza tunisine, coinvolte in queste espulsioni violente.
L’Italia, in particolare, ha stanziato dal 2017 75 milioni di euro per addestrare e fornire materiali alla Garde nationale tunisina. Le istituzioni europee, con la firma di accordi come il Memorandum del 2023, sono diventate complici nel rafforzare il regime di Kaïs Saied, che ha posto la Tunisia come un muro contro i flussi migratori, nonostante l’uso di pratiche disumane contro i migranti.
Le fasi della tratta: cattura, violenza e deportazione
Le operazioni di espulsione dalla Tunisia sono descritte come un processo a più fasi che parte con la cattura delle persone migranti. Secondo il report, queste catture avvengono in vari luoghi: per strada, nei campi di lavoro, ma anche durante i raid contro i rifugiati nel nord della Tunisia.
Le violenze fisiche e psicologiche sono un elemento comune, con interrogatori violenti, sottrazione di denaro e documenti, nonché torture per incutere paura e impedire che le vittime denuncino l’accaduto. La detenzione spesso non viene nemmeno registrata, e le persone catturate vengono trattenute in strutture non ufficiali dove subiscono abusi.
Il traffico di esseri umani verso la Libia
Le testimonianze raccontano anche del tragitto verso la Libia, dove i prigionieri vengono trasferiti in bus sotto sorveglianza stretta. Durante il viaggio, subiscono ulteriori violenze, con la mancanza di cibo e acqua, e spesso vengono umiliati sessualmente.
Arrivati al confine, i migranti vengono venduti a gruppi libici, che possono essere milizie, forze di sicurezza o gruppi in uniforme. Il prezzo per la “vendita” di ciascun migrante varia da 12 a 90 euro a persona, con le donne che vengono valutate di più. Alcuni prigionieri vengono addirittura scambiati con carburante, hashish o denaro, mentre altri sono condannati alla detenzione prolungata o addirittura al lavoro forzato.
La realtà della detenzione in Libia
Una volta in Libia, i migranti entrano in un sistema di centri di detenzione dove sono sottoposti a condizioni inumane. Il riscatto dei prigionieri è una pratica diffusa: chi può permettersi di pagare viene rilasciato, mentre gli altri sono costretti a subire torture.
La Libia diventa così il luogo di destinazione finale di un traffico organizzato, che vede la complicità delle autorità tunisine nel rendere possibile questo sistema. Le milizie libiche, secondo il report, sono direttamente coinvolte nel traffico di esseri umani, tanto che alcuni migranti descrivono una vera e propria industria del sequestro.
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Le violazioni dei diritti umani e il ruolo delle istituzioni internazionali
Il rapporto documenta una lunga serie di violazioni dei diritti umani, tra cui crimini contro l’umanità, detenzione arbitraria, discriminazione razziale, tratta di esseri umani, sparizioni forzate e tortura sistematica.
Queste violazioni, documentate attraverso le testimonianze dirette, evidenziano la complicità delle istituzioni internazionali che hanno deciso di supportare i governi libico e tunisino per fermare i flussi migratori. Organizzazioni per i diritti umani come Asgi, AlarmPhone, e Borderline Europe hanno chiesto il congelamento dei fondi europei destinati alla gestione delle migrazioni da parte delle autorità libiche, per denunciare la continuità di questi crimini.
La posizione della Tunisina
Il regime di Kaïs Saied ha accentuato una retorica razzista e xenofoba in Tunisia, con un discorso ufficiale che considera le persone subsahariane come una minaccia per la sicurezza nazionale. Già nel febbraio 2023, il presidente tunisino aveva avviato misure contro l’immigrazione “illegale” definendola un “piano criminale” volto a modificare la composizione demografica del paese.
Da allora, i migranti neri sono stati oggetto di aggressioni, sfratti e arresti arbitrari, che hanno portato a migliaia di deportazioni verso la Libia e in alcune aree desolate del deserto tunisino, dove molte persone sono morte a causa della sete e disidratazione.
Il report sollecita un’azione immediata per fermare questa “tratta di stato”, chiedendo alle autorità europee e italiane di sospendere qualsiasi tipo di supporto o finanziamento che rafforzi la cooperazione con il governo tunisino. Ilaria Salis, europarlamentare del gruppo The Left, ha sottolineato la necessità di fermare i fondi destinati alla Tunisia, che diventano strumento per perpetuare le violazioni dei diritti umani, e ha chiesto la revisione della classificazione della Tunisia come “Paese sicuro” da parte dell’Italia.