Negli ultimi anni, in Italia, gli amministratori locali accusati di fascismo e finiti nel mirino delle polemiche sono stati tanti, troppi.
Affermazioni controverse e nostalgie per il regime sembrano ormai essere all’ordine del giorno, in un clima di progressivo deterioramento del dibattito pubblico.
Di seguito, alcuni dei casi più eclatanti
Gabrio Vaccarin , consigliere comunale di Nimis (Udine), è finito negli ultimi giorni nel mirino dell’opinione pubblica per via di una foto che lo ritrae mentre indossa una divisa delle SS. A completare il quadro, un ritratto di Hitler ben in vista appeso alle sue spalle. La sezione friulana di Fratelli d’Italia si è subito dissociata dall’episodio, ricordando che Vaccarin fu sì eletto in una delle loro liste, ma che effettivamente non è mai stato iscritto al partito. A colpire è soprattutto la risposta del diretto interessato. Vaccarin ha infatti respinto ogni accusa, sostenendo di aver scattato la foto una decina di anni fa in occasione di Carnevale. Afferma addirittura di potersi avvalere di numerosi testimoni pronti a sostenere la sua versione.
Una risposta che lascia perplessi. Nessuno di sicuro si aspettava che il consigliere avesse indossato la divisa per invadere la Polonia; certo è che la scelta di un simile travestimento in un’occasione di svago difficilmente può prospettarsi come neutra, priva di implicazioni politiche. Insomma, non si parla di una rievocazione storica, ma di Carnevale. Fosse stato almeno Halloween!
Un episodio tutt’altro che isolato
Quello di Vaccarin purtroppo non è un caso isolato. Molti sono stati gli amministratori locali accusati di fascismo nella storia recente della politica italiana. Da qualche settimana ad esempio è tornato alla ribalta il video di un intervento di Domenico Tallini (FI) risalente al 2018. In quell’occasione l’attuale Presidente del Consiglio Regionale della Calabria ha dichiarato a gran voce che il fascismo non era razzista. Non pago, ha proseguito in sostegno dell’intervento italiano in Africa, a suo dire motore di civilizzazione del continente, e non atto di aggressione colonialista.
Non da meno la figuraccia di qualche giorno fa di Luca Caprini, consigliere leghista di Ferrara, attaccato dalle opposizioni per aver lasciato un like a un commento Facebook in cui un utente, riferendosi alla performance canora di Sergio Sylvestre in Coppa Italia, si augurava la riapertura dei forni crematori. Caprini è anche una figura di rilievo all’interno del Sap (Sindacato autonomo di polizia), già noto in passato per alcuni suoi atteggiamenti controversi in merito alla vicenda Aldrovandi. Di fronte all’ennesima polemica, si è difeso dicendo di aver messo like per sbaglio, senza leggere le parole del post. Abitudine tristemente diffusa sui social italiani, ma decisamente intollerabile da un rappresentante della cosa pubblica.
Un’altra polemica nata dai social è quella che lo scorso dicembre ha interessato Davide Bonifazi. Il consigliere leghista di Perugia ha condiviso un post che iniziava con “sono razzista perché amo l’Italia” e continuava peggio. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte alla solita retorica spicciola imperante su Facebook; anche in questo caso, da un amministratore locale ci si aspetterebbe maggiore perspicacia e senso dell’opportunità. Ma forse pretendiamo troppo: in fondo, la Lega si limitò a bollare l’accaduto come una semplice leggerezza.
Proseguiamo con Ivan Danchielli, consigliere di Vicenza, che a inizio giugno affermava: “A voi dà fastidio il fascismo, a me la bandiera arcobaleno”. Salvo chiarire in seguito che il suo astio non fosse rivolto all’arcobaleno del movimento LGBT, ma a quello simbolo della pace, ricordando la sua avversione per il fascismo, ma dichiarandosi indispettito dalla strumentalizzazione del concetto di non violenza da parte della sinistra. Confusi? Anche noi.
E ancora Daniele D’Angelo, consigliere a L’Aquila, che dopo aver affermato, nel 2017, che il fascismo è uno stile di vita, e non un reato, lamentava di essere stato frainteso e criticato per ragioni di opportunismo politico. Per poi tornare alla carica pochi mesi fa, attaccando un’insegnante di musica, rea di aver fatto cantare “Bella ciao” in classe. O il consigliere alessandrino Carmine Passalacqua, salito agli onori di cronaca un anno fa per le accuse social ai partigiani.
Non dimentichiamo poi il sindaco di Ascoli Piceno Marco Fioravanti (FdI), che l’anno scorso prese parte con altri membri della Giunta a una cena a tema nostalgico (con tanto di slogan del ventennio sul menù e ritratti di Mussolini sulla locandina dell’evento). Messo di fronte all’evidenza, sostenne di non esserci accorto della presenza di quei simboli. Gli riconosciamo se non altro il merito di essersi scusato per l’accaduto.
Un problema di responsabilità
Perché il problema è proprio questo: rappresentanti dei cittadini che non solo sembrano flirtare con ideologie contrarie alla nostra Costituzione, ma addirittura rifiutano di assumersi la responsabilità delle proprie parole. Se colti sul fatto, si ergono a vittime di non si sa bene quale assurdo complotto nei loro confronti, quando le loro parole sono lì, nero su bianco. Gli amministratori locali accusati di fascismo per le loro inquietanti affermazioni talvolta si difendono millantando scarse competenze digitali: il che, anche se fosse vero, non sarebbe molto rassicurante. Chi affiderebbe la gestione del bene comune a qualcuno che non riesce neanche a gestire la propria pagina Facebook? I social sono spesso veicolo di imprecisioni e fake news: se si decide di iscriversi, bisognerebbe assumersi la responsabilità di usarli consapevolmente.
Molto più spesso comunque questi comportamenti vengono minimizzati, ridotti a uno scherzo, a semplice goliardia. Come se fosse normale vedere un amministratore democraticamente eletto sfoggiare una divisa nazista. In un periodo di preoccupante riemersione delle ideologie di estrema destra in Europa, scusate tanto, ma la voglia di ridere ci è un po’ passata.
Elena Brizio