Amare sé stessi non è semplice, ma è l’unica via percorribile per godere di una vita appagante.
Oltre due miliardi di anni fa, l’uomo faceva la sua comparsa sulla terra. Sono trascorsi due miliardi di anni da quando l’homo habilis, allo scopo di cacciare e di difendersi dai predatori, fabbricava strumenti e utensili in pietra. Sono trascorsi due miliardi di anni, due miliardi di anni in cui l’uomo è andato incontro a cambiamenti epocali, a guerre, a epidemie, a carestie, a pandemie, a evoluzioni e a rivoluzioni digitali, a metamorfosi del pensiero. Di era in era, l’uomo – desideroso di condurre un’esistenza gioiosa – si è procurato lenti nuove attraverso cui guardare al reale, riponendo in un angolo le vecchie e usurate lenti, quelle lenti utilizzate da chi prima di lui – e come lui – si era scoperto viandante delle strade e dei viottoli del mondo. Sorge spontaneo un interrogativo: nel lunghissimo arco temporale che intercorre dall’età della pietra a oggi, l’uomo si è mai servito di quelle lenti per guardare a sé stesso? Ha mai creduto di poter scorgere nella sua interiorità quella bellezza che, affannosamente, perseguiva all’esterno? Ha mai indagato il suo multiverso interiore certo di scovarvi il segreto per una vita felice?
Dietro la maschera: Oscar Wilde e il peso delle aspettative
Altro non siamo che palloncini in balìa del vento. Sospinti in aria dalla corrente dell’approvazione, precipitiamo se perdiamo consensi. Siamo marionette i cui fili, manovrati dal pensiero altrui, si spezzano se non aderiamo ai canoni imposti dalla società. Quasi fossimo manichini in vetrina, facciamo sì che quei canoni calzino le nostre forme alla perfezione.
È nell’aspirare al raggiungimento di quei canoni che l’individuo finisce col perdere sé stesso. Intento ad ascoltare il frastuono dei giudizi altrui, egli smarrisce il suono dei suoi stessi pensieri, facendo esperienza dello sgretolamento della propria identità.
Questo è quanto è accaduto a Oscar Wilde, insigne scrittore irlandese di cui ricorre, oggi, l’anniversario di nascita. Desideroso di ricevere amore e apprezzamento dalle folle, Wilde aveva sempre evitato il percorso dell’introspezione psicologica. La maschera da dandy – che, con arguzia, indossava – gli consentiva di adombrare quella parte di sé – la più intima – che egli temeva non sarebbe mai stata accettata dalla bigotta società vittoriana. Nutrirsi dell’apprezzamento del popolo costituiva, per lui, la via più semplice per condurre un’esistenza appagante: l’amore che il giovane provava nei confronti della sua persona altro non era che il riflesso dell’amore – non del tutto sincero – del popolo.
Sarà solo dietro le sbarre – ove si ritroverà a seguito del processo per omosessualità – che Wilde troverà il coraggio di entrare in contatto con il suo io interiore. Egli darà vita, in questa occasione, al De profundis (1897), lettera rivolta al suo Bosie – Lord Alfred Bruce Douglas -, mediante la quale indagherà il concetto di amore nella sua più generale accezione. Con la sua penna, Wilde tenterà di fornire risposte a tutti coloro che, dopo averlo – lungamente – lodato e supportato per il suo essere eccentrico, decidevano – cadutagli la maschera – di relegarlo ai margini della società, additandolo come outsider.
Affermazione del proprio io: lettura di un aspirante individualista
Di tanto in tanto un grande uomo è riuscito a isolarsi, a restare inaccessibile alle chiassose richieste altrui e quindi a realizzare pienamente le proprie potenzialità, con incomparabile vantaggio suo, e incomparabile, duraturo vantaggio del mondo intero. Si tratta di eccezioni, però. La maggior parte della gente si rovina la vita per malsano ed eccessivo altruismo.
Questa citazione, tratta da L’anima dell’uomo sotto il socialismo (1891), si fa testimonianza ulteriore del bisogno wildiano – un bisogno precedente ai tempi della prigione – di un’affermazione d’identità indipendente dai canoni imposti dalla società.
L’essere umano – perché, per l’appunto, umano – dovrebbe sentirsi libero di svincolarsi dalle pressioni sociali e dalle altrui aspettative, scegliendo di vivere, ogni giorno, la vita che più gli si confà. Ogni individuo dovrebbe sentirsi libero di trascurare il volere altrui, al fine di focalizzarsi, solo ed esclusivamente, sul suo volere. Ogni individuo dovrebbe – quando il sole ne accarezza le palpebre al mattino e prima che i sogni ne catturino l’inconscio alla sera – porsi all’ascolto dei propri bisogni e sentirsi libero di assecondarli. Ogni individuo dovrebbe poter scegliere di vivere con la stessa leggiadria con cui sogna la notte.
Sarebbe fondamentale, ai fini della sopravvivenza, maturare una certa dose di egoismo positivo. Egoista non è, necessariamente, colui che, isolandosi dal parere altrui, si focalizza sul raggiungimento della propria felicità. Egoista è chi pretende che la felicità assuma il medesimo colore per tutti, non rendendosi conto dell’immensa varietà di colori di cui la palette di quello stato d’animo consta. Utilizzare il termine “standard” o il termine “stereotipo” in concomitanza con il termine “felicità” equivale, pertanto, a fare uso di ossimori.
Sulla scia della psicologia: Oscar Wilde e l’amore di sé
L’essere umano tende a ricercare la felicità all’esterno: persone, oggetti ed eventi ne catturano l’attenzione e, come fossero magneti, lo attirano a sé. Tutto, improvvisamente, ruota attorno all’oggetto del desiderio. Ottenuto tale oggetto, l’uomo ha l’impressione di poter toccare il cielo con un dito, ma, in un battito d’ali di farfalla, egli precipita, nuovamente, nel caos e nel disordine interiore.
Happiness is a butterfly
Try to catch it, like, every night It escapes from my hands into moonlight
Come insegna Lana Del Rey, la felicità ha le ali di una farfalla. Tentiamo, in quell’incessante lotta che è la sopravvivenza, di afferrarla, ma, con estrema semplicità, questa ci sfugge. Tendiamo a spostare la nostra attenzione da un bene materiale all’altro, da una persona all’altra, da un’esperienza all’altra, non rendendoci conto di quanto questo processo sia, in realtà, futile e fine a sé stesso. Talvolta, esso risulta, addirittura, essere controproducente, dando vita a problematiche ascrivibili alla sfera psichica, prime fa tutte le dipendenze, e, specie, la dipendenza affettiva.
Conseguenza diretta della dipendenza affettiva è la perdita d’identità dell’individuo. Questi comincia, infatti, a condurre un’esistenza simbiotica con l’amato, riconoscendo e affermando il proprio valore solo in funzione e in presenza dell’altro. Si è, infatti, soliti credere che, compiacendo gli altri, riceveremo in cambio amore e approvazione, a scapito dei nostri bisogni e dei nostri interessi. Ciò equivale, in realtà, a mancare di rispetto a noi stessi.
Per accettare il parere altrui – per accoglierne critiche, apprezzamenti e suggerimenti di vita – e per sviluppare relazioni sane, durevoli e sincere, risulta, allora, essenziale imparare ad amare sé stessi. Wilde affermava:
Amare sé stessi è l’inizio di un idillio che dura tutta la vita
Questo aforisma racchiude uno dei più preziosi insegnamenti di cui l’autore intendeva farsi veicolo: la chiave d’accesso alla porta della felicità si cela nell’interiorità.
Amare sé stessi non è semplice – richiede tempo, pazienza e dedizione – ma è l’unica via percorribile per godere di una vita appagante. Solo ponendoci all’ascolto del nostro io, ci scopriremo custodi di una sfolgorante luce interiore e smetteremo – armati di barattoli – di rincorrere le lucciole nel buio della notte.