Di Francesca de Carolis
Amal ha 17 anni e una grave malattia neuromuscolare, che gli rende molto difficile muovere alcuni muscoli del corpo. Ma non è tutto, Amal da un anno è in carcere senza alcun tipo di accusa formale. Così Amal, giovanissimo e malato è costretto a una ‘detenzione amministrativa’ dietro le sbarre. Il papà, dopo una delle sue numerose visite al figlio in carcere, ha detto: “Non poteva muovere le labbra, non poteva muovere gli occhi, non poteva sorridere, questi sono i sintomi della sua malattia e siamo molto preoccupati”… L’unica speranza di Amal è che si crei abbastanza pressione pubblica e internazionale attorno al suo caso da indurre il governo israeliano a rilasciarlo
Lanciato tramite Change.org, circola da qualche giorno in rete questo appello.
Storia di Amal Nakhleh, accusato dalle autorità israeliane di aver lanciato pietre contro i soldati. Amal cui, leggo nell’appello, un anno fa è stato asportato un tumore ai polmoni. I suoi genitori temono che durante la detenzione possa morire.
Leggo, ancora, gli accorati appelli per la sua liberazione, dell’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, l’UNRWA, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, dell’Unicef… Si chiede l’immediato rilascio per due motivi: le sue gravissime condizioni mediche e perché minorenne. Eppure, alcuni giorni fa la sua detenzione è stata prorogata fino a metà maggio, senza alcun processo…
Guardando il volto di Amal, che sembra poco più che un bambino. Diventa oggi il volto di tutti i minori palestinesi chiusi nelle carceri israeliane. Che sono storie cui si fa fatica a pensare.
Secondo i dati raccolti dalle organizzazioni che si occupano della condizione dei Palestinesi, ogni anno in Israele vengono processati tra i 500 e i 700 minori. E sono processi che si svolgono nei tribunali militari, perché nei Territori Occupati della Cisgiordania si applica la legge di guerra, la giurisdizione è dunque delle corti militari. Secondo le denunce di molti osservatori, ragazzi palestinesi subiscono spesso arresti e detenzioni arbitrari. L’accusa più comune è quella di lancio di pietre. Un reato per il quale è prevista una pena che può arrivare fino a 20 anni di carcere. E se attualmente sono circa 5mila i prigionieri politici nelle carceri israeliane, fra questi anche donne e minori, secondo i dati più recenti quasi 500 palestinesi sono detenuti senza aver mai subito un processo, e fra loro 6 minorenni. Detenzioni “amministrative”, come quella di Amal, che possono protrarsi a tempo indeterminato.
Condizione terribile, quella dei minori palestinesi detenuti da Israele. A tratti arrivano notizie di violenze, torture, anche… Una condizione terribile che ben ha descritto l’ultimo rapporto di Save the Children, nell’autunno del 2020.
“La condizione dei minori palestinesi nelle carceri israeliane è allarmante. Sono infatti costretti a subire trattamenti disumani come percosse, perquisizioni corporali, abusi psicologici, settimane in isolamento, e viene loro negato l’accesso a un avvocato durante gli interrogatori”.
Un rapporto dal titolo che già molto dice: “Senza difesa”. E, si sottolinea, questi minori sono gli unici al mondo che vengono sistematicamente perseguiti attraverso un sistema giudiziario militare invece che civile, con tutto quel che comporta in termini di assenza di tutela dei diritti.
E tanto ancora ci sarebbe da dire.
Ma solo una riflessione…
Che stridore, guardare il volto bambino di Amal, pensarlo in carcere, pensare alle sue condizioni di salute, leggere degli appelli, finora caduti nel vuoto, per la sua liberazione proprio in questi giorni, a ridosso della Giornata della Memoria.
Tragico destino quello dei Palestinesi. Essere vittime delle vittime. Come scrisse, toccando uno dei nodi profondi della questione palestinese, Edward Said.
Visitando Gerusalemme, salendo sulla Collina del Ricordo, allo Yad Vashem, il memoriale dei morti della Shoa, degli uomini, delle donne, dei bambini… No, viene da pensare, se potessero vedere, se potessero sentire, non sarebbero affatto fieri di tutto questo altro inumano dolore. “Non in mio nome…” forse, sussurra, qualcuno…