È accaduto di nuovo: una giovane mamma è stata allontanata da un luogo pubblico mentre allattava il suo bambino di soli due mesi e mezzo perché considerata una pratica irrispettosa dell’altrui sensibilità. La donna era andata all’Università di Parma a prendere il compagno, che studiava in biblioteca. Si trovava nel porticato esterno all’ateneo, quando, colta dalla necessità di allattare il piccolo, si sedeva e si copriva con una sciarpa, procedendo poi con la poppata. Dopo pochi minuti, una vigilante le intimava di andarsene, non essendo quello il luogo idoneo per allattare.
Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima. La stigmatizzazione sociale dell’allattamento al seno è una delle bizzarrie moderne più incomprensibili. Anche se nel frattempo sono arrivate le scuse ufficiali dell’Università, il pensiero della vigilante non è certo isolato. Sono in molti a pensare che chi allatta in pubblico lo faccia per esibizionismo e non per necessità. Viviamo circondati da scene di nudo usate per pubblicizzare qualsiasi cosa, possiamo vedere natiche fasciate in mutandine di pizzo occupare l’intero lato di un autobus mentre siamo in coda al semaforo, ma guai a permettersi di rispondere al bisogno di un neonato di fronte ad altre persone. Del resto non si può certo dire che l’allattamento al seno sia adeguatamente promosso e supportato.
OMS e allattamento al seno
Sono ormai quasi vent’anni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato che l’allattamento al seno è il primo, più importante e preferibile metodo per nutrire un neonato.
Vent’anni in cui l’OMS ha lavorato per la promozione di questo principio. Lo ha fatto attraverso l’elaborazione di linee guida, il finanziamento di ricerche e il lancio di campagne che hanno riguardato tutti i Paesi. Hanno riguardato sia quelli poveri del Terzo Mondo, dove la malnutrizione mette ancora in pericolo la vita dei bambini, sia i ricchi Paesi occidentali. Proprio questi ultimi sono stati il terreno fertile per la reclamizzazione del latte in formula, spacciato per anni come migliore dalle interessate aziende produttrici. Forse è proprio per questo che, nonostante il vasto impegno dell’OMS, ancora oggi le sue linee guida sull’allattamento al seno sono ben lungi dall’essere rispettate, anche in Italia.
Le regole per un buon allattamento: l’attacco entro un’ora dal parto
Per esempio, ogni donna che si appresta a diventare madre dovrebbe sapere che il colostro, ossia il liquido giallo e denso che si produce alla fine della gravidanza, è l’alimento perfetto per il bambino appena nato e che l’allattamento andrebbe avviato entro un’ora dal parto. Già queste prime, importanti raccomandazioni, però, non sono sempre seguita dai punti nascita, che spesso lasciano passare ore prima di riunire un piccolo alla mamma. Di frequente, inoltre, sono i sanitari stessi che nei primi giorni interferiscono, proponendo il ciuccio e, soprattutto, somministrando il latte in formula senza alcuna necessità.
L’allattamento al seno è solo a richiesta
Un altro punto fermo dell’OMS riguardo l’allattamento al seno è la sua somministrazione a richiesta del bambino, senza durata prestabilita, né orari. Nonostante questa regola provenga direttamente dalla principale agenzia per la salute del mondo, sono ancora molti i pediatri e le puericultrici che impongono alle madri rigide tabelle orarie per le poppate. Accanto a loro, si aggiunge tutta la schiera delle improvvisate esperte nonne, suocere, zie, dirimpettaie e pescivendole, ma anche il giardiniere, che tengono a precisare a ogni occasione che questi bambini vanno educati fin da piccoli ad aspettare con pazienza l’ora della pappa. È bene, però, ricordare che l’allattamento si basa sul principio secondo cui la produzione di latte è regolata dalla suzione del bambino. Limitarla in virtù delle regole orarie, significa limitare anche la capacità del seno di calibrare la produzione di latte secondo le necessità del bambino. Quindi, di fatto, significa compromettere l’allattamento.
Lo svezzamento precoce
Ancora, secondo l’OMS ogni bambino dovrebbe essere allattato esclusivamente al seno fino a sei mesi e poi, parallelamente all’introduzione dei cibi solidi complementari, fino a due anni (o oltre, se mamma e figlio lo desiderano). Anche queste indicazioni vengono spesso disattese. Questo in parte a causa delle critiche delle succitate esperte (“Ancora allatti? Non lo sai che così crescono mammoni e non diventano mai autonomi?” e l’intramontabile “Ormai il tuo latte è acqua”), ma soprattutto dietro indicazione medica. Vige, infatti, ancora la tendenza in ambito pediatrico allo svezzamento precoce e al disincentivo all’allattamento in concomitanza dell’alimentazione solida complementare. Vecchie convinzioni dure a morire, quindi, anche da parte degli operatori sanitari, alcuni dei quali preferiscono la sicura e prevedibile governabilità del latte in formula.
Il codice di autoregolamentazione
Eppure esiste, fin dal 1981, un codice di autoregolamentazione per la commercializzazione dei sostituti del latte materno, che prevede:
– la presenza di etichette con informazioni estensive sui benefici dell’allattamento al seno rispetto ai sostituti;
– nessuna pubblicità dei sostituti del latte materno;
– divieto di distribuzione di campioni gratuiti di latte artificiale;
– nessuna distribuzione di sostituti del latte materno gratis o con sussidi agli operatori, negli ospedali né in qualunque struttura sanitaria.
La famigerata “aggiunta”
Tuttavia, non è raro che le puerpere vengano dimesse con l’indicazione della marca di latte artificiale da usare in sostituzione o in aggiunta del latte materno. Oppure, è il pediatra di famiglia che, durante il primo controllo, ne prescrive una in quanto “il latte di mamma non basta”. Spesso, infatti, i frequenti pianti dei neonati vengono scambiati per fame e si conclude che quello materno non sia sufficiente. Allo stesso modo, si continua ad attenersi rigidamente alle tabelle di crescita elaborate per i bambini allattati con latte formulato. Così, non appena un bambino cresce cento grammi in meno rispetto alla tabella, scatta l’indicazione di integrare le poppate con il latte artificiale. Talvolta tali disposizioni sono accompagnate dalla richiesta non solo di rispettare durata e orari delle poppate, ma anche di pesare il bambino prima e dopo, in modo da verificare il peso acquisito. Oppure di usare un tiralatte, per misurare la quantità di latte prodotta. Addirittura, alcuni pediatri dicono alle donne che senza un sufficiente periodo di riposo tra una poppata e l’altra, il latte non ha il tempo di prodursi.
Errate convinzioni
Nulla di più infondato! La cosiddetta doppia pesata è un inutile metodo del tutto incompatibile con l’allattamento a richiesta, peraltro molto stressante per la mamma. Il segnale da tenere sotto controllo per capire se un bambino si sta nutrendo in modo adeguato è un buon numero di pannolini bagnati quotidianamente. Allo stesso modo, anche il tiralatte non rappresenta un indice di produzione attendibile, poiché non è in grado di eguagliare la suzione del bambino. Infine, il seno non è certo un serbatoio che si riempie con il passare del tempo. Anzi, più si diradano le poppate, più decresce la produzione. Così una neomamma che si reca dal pediatra con il suo piccolo per quello che dovrebbe essere un banale controllo, potrebbe uscirne con una quantità di informazioni sbagliate tale da comprometterne, di nuovo, l’allattamento.
La libertà di scelta
Posto che ogni donna dovrebbe avere tutte le informazioni corrette riguardo l’allattamento al seno, è chiaro che vi saranno situazioni in cui sarà la donna stessa a preferire il latte artificiale. Le motivazioni possono essere le più diverse e tutte legittime. L’importante è che alla base vi sia una scelta libera e consapevole, effettuata in assenza di inopportune interferenze o giudizi da parte di chicchessia e con il dovuto supporto del personale preposto, qualunque sia la decisione.
Michela Alfano