Sempre più Università sono occupate: l’Intifada studentesca sembra non fermarsi più, andando oltre i confini d’Italia e poi d’Europa. Manifestazioni, accampamenti, dibattiti e momenti di confronto per portare avanti la lotta in solidarietà al popolo palestinese e denunciare tutti gli Atenei d’Italia e del mondo che stipulano ancora accordi accademici con Israele. Ma il Viminale, a livello nazionale, ha saputo bene come rispondere a questa gigantesca protesta e ha deciso di lanciare un “allarme infiltrati” nelle università italiane: l’ennesimo motivo in più per reprimere senza scrupoli.
Le proteste in aumento
Dall’ottobre 2023, le università italiane sono teatro di un crescente numero di manifestazioni legate al conflitto israelo-palestinese, con la volontà del corpo studentesco di denunciare il genocidio in corso a Gaza e la complicità di tutto l’Occidente, nonostante il perbenismo dei partiti di sinistra e dei luoghi del sapere. Queste proteste hanno sempre portato a scontri e tensioni con le forze dell’ordine, che hanno usufruito di forza e manganelli nel modo più naturale possibile. Quello che però rimane alle istituzioni e al governo è l’allarme infiltrati, lanciato ieri dal Viminale, la sede del Ministero degli Interni.
Mentre il genocidio è ancora in corso e la comunità internazionale non stia facendo nulla di concreto per arrestarlo e condannare Israele, l’Italia degli studenti si è unita al coro che grida “Palestina Libera” e la fine dell’apartheid. Da una settimana infatti, molti degli atenei d’Italia sono stati occupati da tende di studenti e studentesse che hanno deciso di prendere una posizione contraria all’attuale modello di università.
Fino ad oggi, così come per molti altri temi che sono stati portati al confronto, gli stessi atenei hanno deciso di essere indifferenti alla causa palestinese e, in più, sostenere l’allarme infiltrati, lanciato poche ore fa dal governo. È il caso, tra tutti, della Sapienza di Roma, che si vede prima a finanziare il genocidio e a reprimere il dissenso nelle aule universitarie e negli spazi pubblici dell’ateneo.
Il Viminale convoca un tavolo in risposta alle mobilitazioni
Il 13 maggio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha convocato il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica per discutere la situazione nelle università italiane. Alla riunione erano presenti anche la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, il vicepresidente della Conferenza dei Rettori Francesco Bonini e i vertici delle Forze di polizia e dell’intelligence.
Durante la riunione, il ministro Piantedosi ha espresso la sua preoccupazione per la possibile infiltrazione di “soggetti estranei” nelle proteste, con l’obiettivo di strumentalizzare il dissenso e alimentare la violenza: è stato lanciato così l’allarme infiltrati.
Dalla nota pubblicata nella tarda serata di ieri sera però, non emerge nulla di preciso. Si menzionano delle “criticità” in alcune situazioni e le “efficaci attività di mediazione da parte delle Forze dell’Ordine per prevenire ripercussioni sull’ordine pubblico”. È ormai la stessa procedura: preparare un tavolo di confronto e una nota, affinché la prossima repressione con i manganelli sia altrettanto giustificata, come le altre. E poi di nuovo, come se non fosse successo nulla.
La linea del Viminale: mediazione e prevenzione
Nonostante le criticità, il Governo ha sottolineato l’importanza di tutelare la libera manifestazione del pensiero e ha invitato le università a proseguire con le attività di mediazione con gli studenti. Questo è un altro stralcio di una nota molto breve e poco precisa. Sicuramente, quello che emerge è che – seppur apparentemente – il governo vuole dare un’immagine di dialogo e buona condotta, senza arrivare subito alle maniere più violente.
Nonostante ciò, continua la repressione, sia fisica sia intellettuale, all’interno degli atenei e negli spazi pubblici. Continua anche l’indifferenza nei confronti dell’enorme movimento studentesco che, a livello globale, sta portando avanti grandi rivendicazioni. Tutto quello che il Viminale è riuscito a evidenziare è stato l’allarme infiltrati, con l’obiettivo così di criminalizzare e delegittimare qualsiasi movimento studentesco e universitario.
Accampamenti studenteschi in diverse città: dal locale al globale
Oltre a Roma, sono stati allestiti accampamenti studenteschi anche in altre città italiane, come Pisa, Bergamo, Genova, Milano, Bologna e Torino. Nonostante il solito silenzio del governo, il movimento pro-palestinese sta diventando sempre più grande e le barricate crescono sempre di più: che sia nei prati, nei parchi, nelle aule o vicino ai fiumi. Ogni città del mondo ha il proprio modus operandi, la propria retorica e la propria politica, ma le rivendicazioni contro Israele stanno rendendo ogni protesta locale, il più globalizzata possibile.
Nonostante ciò, le autorità hanno posto particolare attenzione sui prossimi appuntamenti legati alle proteste; tanti sono stati gli arresti e le persone trascinate a forza nelle centrali di polizia. In Italia, la Capitale è posta sotto una più stretta e severa osservazione, sopratutto in occasione della riunione del Senato accademico dell’Università La Sapienza di Roma, prevista per oggi 14 maggio.
Obiettivo: sicurezza per l’allarme infiltrati
Con la nota sull’allarme infiltrati nelle università, l’obiettivo del Governo è quello di garantire la sicurezza negli atenei italiani, pur tutelando il diritto alla protesta pacifica – questa sarebbe la narrazione pervenuta. La sfida è quella di trovare un equilibrio tra la legittimità del dissenso e la necessità di prevenire strumentalizzazioni e violenze.
Il processo di criminalizzazione, che si sta riscontrando in queste ore dalle esternazioni dei Ministri e dalle testate giornalistiche più mainstream e conservatrici, è in atto ormai da molto tempo. Si parla infatti, già dalle prime cariche alla Sapienza dello scorso aprile, di un allarme infiltrati, in particolare modo facendo riferimento alla matrice anarchica. Nonostante queste forme di terrorismo mediatico, che mirano a trovare un colpevole e un nemico contro cui combattere, la protesta studentesca non si è mai fermata, sopratutto in vista di domani, giorno della Nakba – il primo esodo forzato del popolo palestinese.
Si parla di studenti violenti, prevaricatori, senza una reale volontà di sensibilizzare la questione palestinese. Le istituzioni parlano anche di violazione del diritto allo studio – in seguito alle occupazioni – e alla libertà di parola – in seguito ai rifiuti di confronto con chi sostiene e rivendica Israele.
Sicuramente però, quello che non si menziona mai è l’uso massiccio della violenza. Come se usare il manganello contro uno studente disarmato fosse realmente una necessità di prima urgenza. Forse, questa volta, sono le proteste studentesche che hanno il diritto alla parola. Una parola troppo scomoda quanto vera e chiara, nel momento in cui si pone sul tavolo un genocidio in corso e il ruolo delle università.
Il ruolo delle università e delle forze dell’ordine
Dopo il Comitato di ieri, è ovviamente ignoto come le istituzioni procederanno a eventuali prevenzioni contro l’allarme infiltrati. Le forze dell’ordine sono viste, sotto il nostro governo, a un ruolo chiave nel garantire il diritto alla protesta pacifica e nel prevenire la violenza. Quello che ci si può aspettare è una maggiore presenza delle forze dell’ordine, una sempre più costante militarizzazione delle aree metropolitane – non soltanto relative alle Università – e, ovviamente, il via libera a “moderare” con i mezzi a disposizione ogni forma di manifestazione. In questo contesto, la collaborazione con l’università è, sempre secondo la nota del Viminale, fondamentale per mantenere il clima di sicurezza all’interno degli atenei.
L’allarme infiltrati è, in conclusione, la risposta a tutti i “problemi” che il Governo ha deciso di dare. Uno scaricabarile, un puntare il dito contro l’ignoto, per criminalizzare un movimento politico e, allo stesso tempo, delegittimare un movimento tanto grande di natura studentesca.
Lucrezia Agliani