Allarme Covid a Shanghai: mancanza di cibo, rivolte e suicidi

Allarme Covid a Shanghai

A Shanghai è esploso l’allarme Covid-19. I cittadini sono chiusi in casa, il cibo scarseggia, e aumentano le rivolte

Allarme Covid a Shanghai

Mentre in Europa stiamo lentamente imparando a convivere con il Coronavirus, l’allarme Covid a Shanghai è esploso.
Con 26milioni di abitanti, la megalopoli è diventata l’epicentro della più grande ondata di Covid in Cina, seconda solo a Wuhan nel 2019.
Tuttavia, si tratta soprattutto di asintomatici (994 positivi e 22.348 asintomatici).

A preoccupare, sono soprattutto le norme sanitarie imposte da Pechino.
Il governo cinese sta, infatti, portando avanti l’obiettivo “contagio zero“.
Per questo motivo, migliaia di persone sono state costrette al lockdown.
In alcune zone è permesso uscire di casa e aggirarsi per il proprio quartiere, mentre nelle zone più a rischio è severamente vietato.
Le strade sono controllate da forze dell’ordine e militari, ma anche da cani robot dotati di megafoni che ricordano alla popolazione le regole da seguire: “indossare una mascherina, lavarsi le mani, controllare la temperatura“.

Il personale sanitario e addetti autorizzati distribuiscono ai cittadini pacchi alimentari, ma le consegne da fare sono tantissime e la città è enorme.
Per questo motivo alcuni cittadini si sono organizzati facendo ordini all’alba e gestendo gruppi d’acquisto.
Anche comprare dell’acqua è difficile, perciò il governo ha suggerito agli abitanti di bollire l’acqua del lavandino per renderla potabile.

Per isolare i positivi, il governo ha allestito oltre 100 centri, per un totale di circa 160mila posti letto.
Stando alle testimonianze, però, le condizioni sarebbero terribili.
Le autorità trasportano i bambini nei centri dividendoli dalle loro famiglie, mentre i cittadini denunciano sovraffollamento e scarsa igiene.
Le proteste dei pazienti sono frequenti, così come i casi di suicidio.

Le testimonianze degli abitanti di Shanghai

Grazie all’utilizzo dei social, sono molte le testimonianze che stanno girando il mondo.
Tra queste, quella di Claudio Prataviera, 38enne italiano che abita a Shanghai.




Stando al suo racconto, dopo essere risultato positivo, avrebbe ricevuto una chiamata dalle autorità locali.

Passiamo a prenderti, fatti una valigia in 20 minuti e ti portiamo in ospedale

Dopo di che,  hanno portato Claudio in un hangar, occupato da circa 300 persone, per poi essere trasportato in ospedale.
Dopo poche ore è stato portato in un’altra struttura, per poi tornare in ospedale e uscirne dopo 8 giorni.

Mi hanno portato in un posto senza docce, con un letto durissimo, ammassato in una stanza con altre persone. Si mangia cibo in scatolette di plastica e non ci sono medicinali.
Ora, dopo 14 giorni, sono a casa, con la porta e le finestre sigillate, e con una città vuota. Mi sono sentito quasi un “deportato”, nel senso di prelevato all’improvviso da casa e portato via

Polemiche tra Cina e USA

Nonostante il malcontento della popolazione cinese, la Commissione Municipale per la Sanità ha dichiarato di non fermare la politica dello “zero contagio“.

La prevenzione e il controllo dell’epidemia a Shanghai sono ora nel momento più critico, non possiamo rallentare

In seguito, gli USA hanno esortato tutti i diplomatici non essenziali e alle loro famiglie a lasciare Shanghai, esprimendo “preoccupazioni per la sicurezza e il benessere dei cittadini americani con i funzionari cinesi”.
Inoltre, hanno consigliato ai cittadini di evitare viaggi nella megalopoli.
La Cina ha però reagito negativamente, accusando l’America di agire in modo politico e strumentale.

Gli Stati Uniti dovrebbero smettere immediatamente di attaccare la politica cinese di prevenzione delle epidemie, di usare l’epidemia per impegnarsi in manipolazioni politiche e di diffamare la Cina.
Si tratta di una politicizzazione e strumentalizzazione della vicenda.

Giulia Calvani

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