Alla scoperta dell’ Archeoastronomia: intervista a Guido Cossard

Guido Cossard

Guido Cossard è laureato in fisica ed è Presidente dell’Associazione Ricerche e Studi di Archeoastronomia Valdostana. Ha tenuto numerose conferenze nel campo dell’Astronomia e dell’Archeoastronomia ed ha scritto moltissimi articoli scientifici con le principali riviste del settore.
Ha collaborato con la nota trasmissione televisiva di RAI 2  Voyager e, in considerazione del contributo da lui dato nel campo dell’archeoastronomia, l’International Astronomical Union (IAU) gli ha dedicato nel 2005 il pianetino (4993) 1983 GR, che da allora si chiama „Cossard“.

Nell’intervista di oggi, faremo un breve viaggio nell’Archeastronomia, chiedendo a Guido Cossard di raccontarci alcuni dei suoi numerosi studi.

Ma prima… cos’è l’Archeoastronomia?
L’Archeoastronomia studia i rapporti tra Astronomia e Archeologia. Rappresenta la conoscenza e comprensione che gli antichi  avevano dei fenomeni celesti e di come li hanno utilizzati ed interpretati, nonché quale ruolo la “realtà” dei movimenti della volta celeste abbia svolto all’interno delle loro culture.

Posso chiederti alcuni tuoi ultimi studi nell’ Archeoastronomia?

Attualmente mi sto occupando sostanzialmente di due lavori: uno riguardo le coppelle, come quelle che ho studiato a Lillianes, riconducibili alla costellazione delle Pleiadi. Ne sto trovando molteplici, infatti, di questi incavi artificiali su roccia. In provincia di Cuneo ne ho trovata una serie bellissima che rappresenta Perseo e che si è rivelata dunque molto importante: primo, per il soggetto inconsueto, secondo perché v’è una coppella che rappresenta chiaramente la stella algoica. Quest’ultima è una stella variabile, quindi ci fa capire che già nell’età della pietra (probabilmente bronzo, ma la datazione non è ancora precisa), ne erano a conoscenza. Tutta la costellazione è realizzata in coppelle, tranne la ‘testa’, fatta con un triangolino scavato nella pietra e, da lì, parte il radiante delle stelle Perseidi, ossia quelle che vengono chiamate ‘lacrime di San Lorenzo’, le stelle cadenti di agosto. L’importanza rispetto ad altre popolazioni, che hanno rappresentato stelle più scontate e quasi banali, come l’Orsa Maggiore o Minore, deriva proprio da questa grande capacità d’osservazione dimostrata.

Sulla base delle Pleiadi e di questo lavoro, sto facendo con un astronomo torinese un lavoro a tappetto statistico su queste scoperte, utilizzando il metodo del bersaglio, già applicato anche nei miei altri lavori. In pratica, una volta definito un ‘bersaglio’, si calcolano le probabilità che venga colpito per casualità o meno, facendo poi dei confronti con lavori precedenti.

Al contempo, continuo sempre il mio lavoro sugli Atzechi: sono infatti estremamente convinto, (mi rendo conto che per ora possa essere una presunzione), che l’astronomia degli Atzechi fosse definibile allo stesso livello di quella dei Maya, che semplicemente sono solo più conosciuti. Cerco di tirar fuori ogni minimo loro studio astronomico, per poi riunire il tutto e dimostrare la mia tesi.

Quali erano i loro mezzi?

Fino al periodo di cui stiamo parlando, sicuramente l’osservazione avveniva ad occhio nudo. Da tenere in considerazione, però, che la loro vista era decisamente più allenata: persino al giorno d’oggi esistono differenze visive sostanziali. Possiamo dunque immaginare che anche fra loro vi fosse qualcuno di più dotato sotto quel punto di vista, dedito all’osservazione. Altra considerazione da fare è che erano privi di qualsiasi forma di inquinamento visivo. Le civiltà sovracitate osservavano il cielo dall’altopiano di Città del Messico, con una quota tale che il cielo non poteva che essere terso e limpido. La semplice vista determinava scoperte e calcoli già importanti. Alcuni sostengono che possedessero già taluni tipi di strumentazioni e, d’altra parte, gli Egizi li avevano: ad esempio, utilizzavano un filo a piombo, con una nervatura di palma aperta a „v“ o il bastone di Giacobbe per misurare l’ora ed altre informazioni. Seppure da non considerarsi basici come la vista, anche i Maya utilizzavano strumenti particolari, come due legnetti incrociati ad „x“, che servivano a traguardare le stelle: in alcune stele vediamo rappresentati questi utensili. Credo che, anche i questo caso, il problema sia più una mancanza di conoscenza nostra.

Quanto sapevano essere precisi nei loro studi?

Molto precisi. A logica, però, verrebbe da dire che più il tempo trascorre e più le tecniche vengono affinate. Invece, è esattamente il contrario: anche in Europa, in tutti i siti in cui è possibile stabilire una cronologia, le fasi più antiche sono quelle più precise. Le strutture erano decisamente più semplici, si servivano di pali e buche per traguardare i punti dell’orizzonte e segnare i punti in cui il sole sorgeva o tramontava. Gli osservatori fanno posto, pian piano, ai templi. Stonehenge, per esempio, 1500 anni prima di diventare tale aveva già tutte le informazioni di carattere astronomico. Ho fatto un lavoro sui Dolmen in Bretagna ed è incredibile come molti siano orientati nel punto in cui sorgeva il sole nel giorno esatto del solstizio d’inverno. Ancor più incredibile è che, come detto prima, sono i più antichi ad essere i più precisi. Le strutture più belle del mondo rimangono comunque Stonehenge e a St. Martin de Corléans (Valle d’Aosta): tutte perfettamente orientate astronomicamente e sono strutture semplici, pozzi e pali, solo successivamente trasformati nella fase monumentale… ma parliamo di duemila anni dopo.

Il fine di questi studi era sempre religioso?

L’astronomia era sempre e indissolubilmente legata alla religione, tanto che talvolta risulta davvero difficile capire quando una struttura è a carattere religioso o astronomico: generalmente, la risposta prevede entrambe le soluzioni. Ad esempio, riporto il mio lavoro su „Coyolxauhqui“, un disco in bassorilievo scoperto a Città del Messico nel 1978. Dapprima si pensava fosse una rappresentazione puramente simbolica, ossia totalmente religiosa. Il disco raffigura, infatti, la dea smembrata: la dea della Luna tentò di uccidere sua madre perché incinta senza conoscerne i motivi. Ella portava però in grembo il dio della guerra, che proprio durante il tentato assassinio, nacque e smembrò la dea Luna, per poi lanciarla in cielo e creare così il nostro satellite naturale. Il disco ha però una serie di strutture circolari assai precise ed io ho dimostrato che, statisticamente, è molto probabile che rappresentino dei crateri e mari della Luna, aggiungendo un significato scientifico alla scoperta.

Qual è la civiltà antica che reputi più avanzata?

Dipende. Dal punto di vista simbolico, sicuramente gli Egiziani. L’astronomia permeava ogni cosa nella loro vita, però non erano dei grandi osservatori: erano decisamente più religiosi, che tecnici. Dal punto di vista matematico, certamente i Babilonesi, poiché sono quelli che hanno fatto i calcoli più complessi e precisi. Anche i Maya (e gli Atzechi a mio parere) erano allo stesso livello, ma parliamo di molti anni dopo. In ogni caso, se vogliamo fare una sintesi tra i due aspetti, possiamo sicuramente individuare come civiltà più avanzate quelle sudamericane. Non da sottovalutare che Maya e Atzechi avevano alle spalle civiltà con già una certa preparazione. Basti pensare alla cultura di Teotihuacan, che ha realizzato la Piramide del Sole e della Luna: l’ho studiata un paio di anni fa, quando sono andato alla presentazione della versione spagnola del mio ultimo libro. Oppure agli Olmechi, una civiltà che ha fatto un grosso lavoro di sintesi sui calendari e i cicli. Le due grosse differenze tra l’astronomia centroamericana e quella del resto del mondo si possono così riassumere: le civiltà riferibili alla prima avevano il sole che raggiungeva lo Zenit; avevano dunque veri e propri tubi zenitali nei quali il sole si specchiava solo in un determinato periodo, oppure colonne prive d’ombra nelle date in cui il sole era allo Zenit. L’altra differenza sostanziale è che, mentre gli antichi europei, ma anche babilonesi ed egiziani, concepivano il tempo come lineare, i sudamericani e centroamericani avevano una visione ciclica, con calendari molto complessi, svariati, ma che finivano per sincronizzarsi: una concezione assai più veritiera. Pensa che Maya e Atzechi avevano un ciclo di 265 giorni e, di 260, ancora non se ne conosce il motivo.

E’ da qui che parte quell’idea della fine del mondo secondo i Maya?

Esattamente. Da un punto di vista matematico, l’idea era corretta; è tutto quello che ci hanno costruito sopra ad essere inventato. Vero è, infatti, che finiva un Baktun, che era uno dei periodi di tempo più lunghi nei cicli Maya. Su alcune stele Maya, c’erano però date molte più avanti di quest’ipotetica fine e già questo ci fa capire che loro stessi non pensavano fosse l’apocalisse: insomma, anche coloro che affermano che “per noi può non essere vero, ma per loro sì” si sbagliano.

http://www.cossard.it/

Archeoastronomia – Inaf 

 




  Isabella Rosa Pivot

 

 

 

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