Da 36 giorni, quando apriamo Instagram o Facebook, ci appaiono foto e video della guerra in Ucraina. Volti distrutti dalla fatica, corpi distesi a terra, soldati che marciano: ecco cosa stiamo guardando da settimane. Questo è senza dubbio il conflitto più documentato degli ultimi tempi, ma le nostri menti sembrano essersi già abituate.
Ci stiamo desensibilizzando?
Domanda tutt’altro che fuori luogo dato che le immagini e i video della guerra in Ucraina sono onnipresenti nei nostri feed social. Ci svegliamo la mattina con un post di un ospedale, un condominio o un centro commerciale distrutto e andiamo a letto leggendo una notizia sul numero delle morti della giornata. Così da 36 giorni. Secondo quanto riportato da Axios media trends, il picco di engagement sui social si è ottenuto il giorno successivo all’invasione russa, ovvero il 25 febbraio, per poi avere un crollo notevole e il grafico lo spiega fin troppo bene. Dalla seconda settimana di Marzo l’interesse pare essere calato. Dunque, siamo senz’altro preoccupati di quanto sta accadendo, ma i nostri occhi e la nostra mente sembrano essersi abituati. Il motivo è una certa “crisi dell’attenzione” che ci affligge ormai da tempo e la situazione non sta migliorando.
Questo spiegherebbe molte cose
Se la guerra in Ucraina è il conflitto più documentato, è anche l’evento bellico che ha mostrato quanto sia importante comunicare col corpo e con i social e questo Zelensky lo sa bene. La scelta di presentarsi sempre in t-shirt verde “militare”, inquadrato dal busto in su con le braccia nude in evidenza, trasmette quanto il politico sia esposto fisicamente. Al centro dei video che lo riprendono intento a lanciare l’ennesimo appello, non c’è spazio per l’ordine e la formalità. Sembra letteralmente pronto ad interrompere la chiamata da un momento all’altro, proprio perché in pericolo come i suoi concittadini. Persino i riferimenti a eventi storicamente rilevanti, tragici, di ciascun paese, sembrano avere uno scopo ben preciso. E’ come se ci stesse chiedendo (implicitamente ed esplicitamente) di non abbassare lo sguardo, di mantenere viva la nostra attenzione, anche se la guerra in Ucraina non è più una novità. Anche se la scarica di adrenalina dei primi giorni si sta esaurendo.
L’interesse lascia sempre più spazio all’apatia
L’appello di Zelensky sembra un’ovvietà , ma in una situazione in cui apriamo tante app al giorno e interagiamo con più persone simultaneamente, il rischio di abituarci a quanto ci accade intorno, c’è eccome. In poco più di un mese, abbiamo dimostrato di essere già saturi di quanto sta succedendo e il motivo è, appunto, il continuo propagarsi di immagini e video che ritraggono la condizione più diffusa di oggi: la sofferenza.
Parkour tra un’ issue e l’altra
Complici anche i media, che saltano da un argomento all’altro, trattando le issues più in voga del momento, realizzando programmi troppo spesso pressappochisti. Talk show che ieri parlavano con i virologi, oggi ospitano esperti di guerra e geopolitici. Persino i programmi di intrattenimento “trash” adesso si occupano della guerra in Ucraina e dei suoi drammi. Proprio come il parkour, saltiamo da un argomento all’altro, focalizzandoci su un tema fino a quando ne troveremo un altro più interessante e caldo da seguire. Proprio come accadeva con il Covid e, questa estate, con le donne afghane in fuga dai talebani (e no, non ne parla più nessuno), la guerra si è trasformata in un argomento che interessa a tutti ma che emoziona pochi.
Non abbiamo più un cervello normale
La verità è che non siamo più in grado di concentrarci per più di un certo tempo su una determinata questione e soprattutto sembriamo essere incapaci a focalizzarci su due macrotemi contemporaneamente. La professoressa Barbara Demeneix ha detto esplicitamente che ” è impossibile avere un cervello normale oggi”, perché se così fosse, di certo l’attenzione su un tema riceverebbe più di 65 secondi della nostra attenzione. Per cui, scorrendo le immagini dell’ennesimo volto sfigurato da un proiettile, ne restiamo impressionati, ma siamo subito distratti da un altro input. Guardiamo il programma che affronta il dramma della bambina immortalata che imbraccia un fucile alla finestra, rimaniamo colpiti dell’infanzia rubata, poi abbassiamo la testa perché l’attenzione crolla nuovamente.
Pare che il nostro cervello, quando si focalizza su una notizia, funzioni come la sezione “cerca” di Instagram. Tante immagini, video, volti, colori. Selezioniamo ciò che ci appare più interessante e più di tendenza. Lo osserviamo, magari ci capita di leggere la descrizione, mettiamo Mi piace e poi passiamo ad altro. Così all’infinito. Così da 36 giorni.
Giulia Poggiali