Di Tiziana Barillà
L’arresto di un dissidente è un crimine, sempre. E non ci sono ma e non ci sono forse.
Detto questo, occhio a santificare Alexei Navalny e il suo movimento “Russia del futuro”, perché c’è poco da santificare. Quello che viene definito dai più il “leader dell’opposizione”, in verità, non rappresenta nessuna alternativa a quello scempio di Russia governata da Putin.
Unione Europea e Stati Uniti si battono come paladini dei diritti e della libertà di dissenso che se facessero altrettanto – per esempio – in Turchia ci sarebbe davvero da applaudire.
Il fatto è che Navalny è diventato un caso mediatico, politico e internazionale. E adesso l’esigenza di semplificare, tifare, prendere posizione a qualunque costo, rischia – come sempre – di accecarci. La necessita di schierarsi, da una parte o dall’altra, finirà per imprigionarci – come sempre – dalla stessa parte.
Il movimento di Navalny è un movimento nazionalista nato (e cresciuto) sull’onda dell’anti-corruzione. Quali siano le loro proposte in materia di politica economica, interna, estera, è – e rimane – un mistero. E la storia ci insegna che chi vuol “aprire la scatoletta”, poi, una volta che l’ha aperta, in quella scatoletta ci mette poco ad ambientarsi, e ci prende posto comodo comodo.
Insomma, quasi certamente, se non ci fosse zar Putin a perseguitarlo, ”liquideremmo” il caso come quello di un populista, con qualche simpatia per la destra nazionalista e qualche sfumatura xenofoba. Xenofobia sì, perché quello che oggi incoroniamo come un eroe ha un passato (che nella migliore delle ipotesi, è passato) nazionalista e xenofobo. Non farete fatica a trovare su internet le “tirate xenofobe” di Navilny contro i ceceni.
Non solo. Le immagini di questi giorni, ci vengono raccontate come una specie di “miracolo russo” e di questo miracolo viene reso grazie al martire (purificato per l’occasione) Navalny. E le migliaia di arresti e la solita persecuzione dei manifestanti vengono raccontati come un fatto “nuovo”. Ma nuovo non è. Già nell’estate e nell’autunno del 2019, per esempio, oltre 40.000 persone erano scese in piazza e per averlo fatto hanno pagato a caro prezzo. E quei manifestanti sono in piazza, a sfidare il regime, tuttora. Sono quelli che vediamo alla tv in queste ore.
Attenzione, perciò, anche alla “retorica del risveglio”. Perché se è vero che da 21 anni Putin ha assediato il Paese, è anche vero che da 21 anni migliaia di persone hanno pagato (e pagano) a caro prezzo il loro dissenso.
La mano di Putin si è sì abbattuta su Navalny, ma non ha mai smesso di abbattersi anche sulle migliaia di manifestanti in piazza. I detenuti politici nella Russia di Putin non sono una novità: liberali e comunisti, anarchici e femministe, ecologisti, movimenti contro la corruzione. E le nuove generazione, quelle nate sotto il dominio di Putin, arci-stanchi di lui e del suo apparato di potere. Attivisti e dissidenti che hanno raggiunto secoli di anni di reclusione e che da tempo protestano contro la repressione.
Non facciamoci fregare. Conoscere, pensare, criticare. È la nostra unica arma.