A cura di Sabatina Napolitano
A seguito della recensione del volume “Certe morti non fanno rumore” edito Chiarelettere, abbiamo incontrato l’autore, Alessandro Curioni, giornalista e fondatore Di.Gi. Academy, azienda specializzata nella formazione e nella consulenza nell’ambito della cybersecurity, per affrontare rischi e potenzialità dell’intelligenza artificiale.
Il risultato è un’insieme di nozioni che dovrebbero caratterizzare la vita digitale di ognuno di noi.
Partendo dal titolo “Certe morti non fanno rumore” pare di capire che con “essere morti digitalmente” intendiamo che molte persone possono essere uccise e possono anche essere vittima di vere e proprie cancellazioni dal punto di vista dell’identità digitale. Tutto questo suona un po’ apocalittico, in realtà può essere apocalittico, il problema è che non si fa una informazione mirata e dettagliata nel campo della cybersecurity. Quindi cosa significa essere morti digitalmente?
La morte digitale assume molte e diverse forme. Possiamo morire perché scompariamo dalla rete o possiamo morire semplicemente perché qualcuno prende il nostro posto in un mondo nel quale noi non abbiamo il benché minimo controllo, e “noi” moriamo semplicemente perché non siamo più quel “noi” digitale. E qualche altro diventa quel “noi” digitale. La nostra morte digitale avviene quando qualcuno ci sottrae i nostri profili sui social, la posta elettronica, quando prende il controllo dei dispositivi che usiamo, a quel punto noi siamo digitalmente morti. […] Oggi in Italia vengono denunciati 84 crimini informatici al giorno, quelli denunciati… poi c’è una zona d’ombra di gente che non denuncia.
Quali sono gli scopi della formazione in fatto di cybersecurity?
Lo scopo base è quello di mettere le persone nella condizione di essere consapevoli di che cosa stanno maneggiando. Io sono favorevole alla tecnologia però laddove c’è una straordinaria opportunità c’è sempre un grande rischio. […] Noi non abbiamo dei piani veri di istruzione scolastica a partire dalle elementari su quelle che sono le tecnologie, noi abbiamo questa educazione digitale affogata nell’educazione civica di cui diventa una frazione.
Non c’è un cambio della cultura nonostante i media facciano parte delle nostre identità. La formazione di cui tu parli è una formazione culturale a partire addirittura dalle elementari. Pensavo anche ad un cambio dell’antropologia dell’uomo, della percezione dell’identità.
La percezione dell’identità e della realtà, noi siamo biologicamente inadatti a percepire un pericolo che si trova al di là di uno schermo. Tatto, gusto e olfatto ad esempio, non ci permettono di capire se il telefono che abbiamo in mano risulta una minaccia. E allora solo la nostra parte razionale ci può aiutare.
I ragazzi stanno tutti coi cellulari in mano, anche per scaricare giochi non rendendosi conto che danno la loro identità. Anche pagando dei giochi con delle carte, loro stanno dando dei dati, quindi il problema della cybersecurity diventa importante a partire dai bambini. È necessario ricordare di non rispondere agli sms mettendo i dati personali, non rispondere alle email mettendo i dati privati.
Al di là però della dimensione privata del singolo cittadino, ci sono delle sfere più grandi di cui tu ti occupi che riguardano aziende a livelli internazionali e mondiali. Quindi la formazione in cybersecurity sta anche nella formazione alla difesa in tutte le minacce che riguardano la rete, come i criminali, gli eco terroristi, gli hackers, le mafie, il riciclaggio dei soldi, i pedofili, tutto questo che è virtuale diventa reale veramente. Quindi ci sono aziende che vengono truffate. I tuoi romanzi come ci hanno orientato in questo?
Il primo libro (Il giorno del Bianconiglio) l’ho scritto nel 2017, e per ragioni di stampa è stato pubblicato solo nel 2021. Mi sono basato su un fatto realmente accaduto in Ucraina dove si era verificato un black out causato da un virus informatico; ho costruito un romanzo che all’epoca era stato bollato come fantascienza. Nel 2021 è diventato di stringente attualità, non a caso a maggio del 2021 un attacco informatico bloccò la distribuzione della benzina su tutta la costa orientale degli Stati Uniti. Il tema in questo caso è il cosiddetto “internet delle cose”. […] Nel secondo romanzo mi sono fermato all’intelligenza artificiale che ci promettere dei risultati straordinari in moltissimi campi. Un critico d’arte, Federico Zeni diceva “noi stiamo morendo per eccesso di informazioni”. Qualche anno fa siamo entrati nello zettabyte (il prefisso zetta sta per “1” seguito da 21 zeri). Oggi transitano sulla rete circa 6 zettabyte ogni anno. Le intelligenze artificiali promettono di trarre conoscenza da queste immense banche dati che noi non riusciamo nemmeno a concepire. Come? Grazie alla capacità di elaborazione. […] Il rovescio della medaglia è che le intelligenze artificiali hanno una certa fragilità (sono soggette a pregiudizi, possono essere ingannate) allora noi rischiamo di perdere il controllo. Per intelligenze artificiali noi ci riferiamo ad algoritmi che hanno la capacità di riprodurre una capacità del nostro cervello come ad esempio il riconoscimento delle immagini (una delle innumerevoli attività del nostro cervello). […]
Nei tuoi libri parli del dark web, cosa si intende?
Il dark web è un pezzettino di internet, si parla di qualche centinaio di migliaio di siti. Sul web ce ne sono circa due miliardi di siti. La caratteristica del dark web è quella di funzionare secondo delle regole particolari, sono protocolli che garantiscono un elevato livello di anonimato, e l’impossibilità di rintracciare da dove una persona si connette […].
Il lettore ideale dei tuoi romanzi è anche l’accademico, visto che tu insegni all’università. Tu hai trovato delle connessioni con sociologi e filosofi contemporanei che si stanno occupando di questo?
C’è la filosofia della mente, l’antropologia culturale che si stanno avvicinando a questo mondo. A partire da Manuel Castells, Pekka Himanen che si occuparono degli hackers.Lo stesso Luciano Floridi, e ancora in tempi più recenti il filosofo David Chalmers che ha analizzato il fenomeno del metaverso […].
Ci puoi dire sia nel campo della cyber security sia per l’intelligenza artificiale quale è il metodo basico per la sicurezza?
Un mio collega americano che si chiama Bruce Schneier, alcuni anni fa ha detto che se pensiamo di risolvere i problemi di sicurezza con la tecnologia non abbiamo né capito il problema né tantomeno la tecnologia. La tecnologia è strumento. E quindi fondamentalmente l’aspetto più importante è legato proprio all’educazione delle persone […]. Come la sicurezza stradale dipende dal pilota, sulla macchina ho i freni, le cinture di sicurezza, l’airberg. Ma se vado a 300km/h alle due di notte, ubriaco, questo non è “se” andrò a sbattere da qualche parte ma quando andrò a sbattere da qualche parte. Noi dobbiamo restare piloti della tecnologia, e dobbiamo farlo da piloti consapevoli. Quando si parla di “cyber” molti dimenticano da dove deriva la parola. Il termine “cyber” deriva dal greco “kybernetes” che significa “timonare la nave”, “guidare la nave”. Quindi stiamo parlando di tutto ciò che governa la tecnologia, che saranno intelligenze artificiali? Sì, ma siamo anche noi. Il punto vero è centrare l’educazione delle persone. […]
Certo è il potere del raziocinio che ci distingue anche dalle bestie. L’uomo è capace di intelligenza ma è capace anche di errore. Se il singolo sbaglia è molto difficile interfacciarsi poi con le forze di polizia. Quando ad esempio si viene derubati di soldi nella postapay se si va dai carabinieri molto spesso i carabinieri se ne lavano le mani. Questo è a dipesa del fatto che lo stato e le forze dell’ordine non si sanno ancora interpolare?
Innanzitutto c’è una disparità fondamentale tra chi difende e chi attacca. Loro sono molto di più. Ma tanti di più. E quelli che difendono sono pochi pochi pochi. La giustizia e la polizia deve cercare di valutare l’economia dello sforzo. Ci vorrebbero decine e decine di pubblici ministeri dedicati e agenti dedicati.
Si, ma si creano posti di lavoro…
Certo. Il problema di quando dicevo io del ritardo, della scuola, dell’educazione. È che oggi in Italia ci sono 100000 posti di lavoro legati alla cybersecurity ma non ci sono le persone da assumere perché bisogna formarle prima. E siccome non è che dalla sera alla mattina si diventa esperti di cybersecurity ci vogliono anni di studi e poi ci vuole un po’ di esperienza sul lavoro, quindi ci vogliono anni.
Ma ci dovrebbe essere una riforma affinché anche lo Stato si attivi perché lo Stato deve tutelare l’interesse del cittadino. […] così anche per il FACE ID, o l’impronta digitale che dall’altra parte già si stanno attrezzando per trovare dei modi di bypassare questo meccanismo di riconoscimento.
Semplicemente per falsificare l’identità. È il gioco a guardia e ladri, è chiaro che la guardia sta dietro il ladro per vedere dove va. […] Adesso è nata l’Agenzia Nazionale di cybersecurity che sta reclutando personale. Il vero problema in Italia è che noi abbiamo milioni di piccole medie aziende che rispetto alla cybersecurity fanno fatica per due ordini: in un record pubblicato l’anno scorso si dice che il 32% di queste aziende è consapevole che c’è un problema di cybersecurity ma non ha le risorse da investire per proteggersi. C’è un 25% che invece dice l’argomento non gli interessa. […] saranno circa 250000 aziende ma siccome viviamo in un mondo interconnesso se io colpisco una azienda piccola inevitabilmente vado a colpire quella più grande nonostante quella più grande sia totalmente strutturata. Si dice che la sicurezza è forte quanto il suo anello più debole.
È importante dare a tutti, comunque, questo tipo di informazione che tu hai dato tramite il romanzo come scrittore…
Ho pensato di raccontare una storia per arrivare a un pubblico più vasto. È vero che l’Italia non è un paese di grandi lettori però leggiamo sicuramente più romanzi che saggi.
Sei un pioniere. Grazie per questa intervista. Nella speranza che arrivando a più lettori possibile siano tutti più attenti alla sicurezza e a queste nuove intelligenze artificiali.
Vi lascio un ultimo messaggio, mi raccomando tutte le volte che accendete uno smartphone ricordatevi di non spegnere il cervello che questa è la cosa più importante.
https://youtu.be/PQIfwb–8AY