Le foto di un bambino sotto shock, recuperato dalle macerie a seguito di un bombardamento ad Aleppo, stanno facendo il giro del mondo.
Un bambino non dovrebbe mai avere le immagini della guerra negli occhi. Un bambino non dovrebbe mai avere gli occhi spenti e assuefatti. Un bambino non dovrebbe mai spegnersi. Bambino è sinonimo di energia, di vitalità, di innocenza, di speranza. Bambino è la parte ancora sana del mondo.
Omran Daqneesh ha cinque anni e pochi giorni fa è stato recuperato dalle macerie dopo un bombardamento aereo nel quartiere Qaterji, vicino Aleppo. Il bombardamento ha distrutto ogni cosa e l’autore non si conosce ma cosa importa: russi o siriani che siano, la distruzione è ciò che rimane.
La distruzione non materiale, ma quella fisica, umana, psicologica. La distruzione dell’anima, in questo caso di quella più delicata: l’anima di un bambino.
Sì, perchè l’anima di un bambino è l’anima di un essere in divenire, è ancora pura, non intaccata dai sentimenti negativi, dalle brutture del mondo, è un anima vergine, un terreno fertile dove si può piantare un seme, che sarà il frutto del domani.
Che frutto coglierà domani Omran ? I suoi occhi hanno già capito o forse i suoi occhi non hanno già capito. La foto di questo bambino, seduto in ambulanza che si stropiccia il viso impastato di polvere e del suo stesso sangue, è immobile e paralizzato. Muto dallo shock che ha subito, rimane lì imperterrito. Non capisce o forse ha smesso di capire o ancor peggio non prova a capire.
Un bambino spento. Svuotato. La vitalità della sua infanzia spenta come si fa con l’interruttore della luce.
Fa paura tutto ciò. Fa paura come la guerra, l’immondizia del mondo, colpisca la parte sana del mondo, quella della possibilità. La possibilità è rappresentata dai bambini, dai futuri uomini.
Lì dove la tecnologia non omologa e rende inette e spente le persone, ci pensa invece la guerra che con altri mezzi, forse più crudi, spegne le persone, spegne gli innocenti bambini.
Omran adesso è disteso, con il capo fasciato, un braccino piegato e lo stesso identico sguardo, gli stessi identici occhi, spenti, assuefatti, non più vivi, se mai vivi lo siano mai stati.
In questa sua breve vita, 5 anni appena, è possibile che Omran non abbia mai conosciuto la bellezza dell’infanzia, e la sua piccola anima fertile va inaridendosi.
Ci riesce la guerra a distruggere, a inaridire il terreno su cui passa, a spegnere ogni accenno di vita. Ci riesce la guerra a uccidere l’uomo, a renderlo non più umano ma un suo strumento, un essere capace di conoscere nient’altro che guerra e tutto ciò che essa comporta.Un essere capace di generare altra guerra, perchè ci è nato, ci è cresciuto, l’ha interiorizzata e fa parte di se stesso, come un arto, un organo.
Non è carne però, non è pelle però. E’ come una protesi, un’aggiunta, qualcosa che non gli appartiene veramente. E’ qualcosa che gli è stato incollato addosso a forza, qualcosa che ha dovuto accettare a prescindere.
Questa è la guerra. Questo è quello che gli occhi di Omran e di tutti i bambini vittime della violenza militare, esprimono attraverso i loro occhi.
E questo che deve far riflettere e deve spaventare: ciò che la guerra genera e non ciò che la guerra materialmente distrugge.
Dalla Siria, come da tutte le altre parti del mondo in cui c’è una guerra, non arriva più un grido di dolore, ma un lamento stridulo, un lamento di rassegnazione, un lamento fioco, come una candela che sta per spegnersi.
L’accettazione. La non possibilità. Non è più distruzione ma è già la generazione di un qualcosa di altro, non bello purtroppo, è la generazione di altra guerra, come in un circolo vizioso, che nessuno sembra voler spezzare.
Laura Maiellaro