Aleppo, un quadro generale
La battaglia di Aleppo inizia il 19 luglio 2012, città siriana dalla posizione geografica strategica per il passaggio in Turchia.
Aleppo è una delle città più antiche al mondo e al suo interno quello che si sta svolgendo è il più cruento conflitto della guerra civile in Siria, nonché uno dei più duri scontri che all’interno di una sola città la storia recente abbia mai visto.
All’interno di una strage senza precedenti recenti e di una situazione di grande instabilità, si evince ora più che mai la profonda crisi che caratterizza le istituzioni internazionali.
Tra indecisionismo cronico e un accumularsi di mosse e contromosse sbagliate, persino l’umanità dell’opinione pubblica è caduta in una forte apatia.
Ma date queste premesse, andiamo a una ricostruzione di quel che sta avvenendo.
Antefatto
Sono passati più di quattro anni e ancora nessuna delle parti coinvolte ha avuto la meglio sullo scontro inumano in corso.
L’unica vera grande sconfitta è una società civile agli stenti, distrutta e privata dell’umanità di cui ogni individuo sulla faccia della terra dovrebbe godere.
Inizia la battaglia di Aleppo a pieno titolo nel luglio 2012, per quanto già da prima questa fosse sotto il controllo del regime di Assad.
A tal proposito, prima che lo scontro prendesse concretamente il via, vari attivisti e pacifisti erano più volte scesi in piazza chiedendo, attraverso delle dimostrazioni del tutto pacifiche, diritti e democrazia.
Il regime ha tuttavia stroncato con la violenza ogni tipo di manifestazione svoltasi prima, e a dimostrazione di ciò, sono vari i video che anche in rete è possibile trovare. Un esempio ci viene dato dalla protesta studentesca del 3 maggio 2012, dove vennero uccisi quattro studenti, feriti venti e arrestati duecento.
Segnali di una situazione instabile destinata a peggiorare, che tuttavia non sono stati colti a tempo debito. Non è un caso che tanti palesino timori rispetto alla situazione turca e all’assenza di determinismo, ancora una volta, da parte della società internazionale.
Da lì in poi ciò che prende il via è una guerra civile in piena regola, tuttavia combattuta da forze opposte che nulla hanno a che vedere con le richieste che la popolazione avanzava nelle sue dimostrazioni di piazza.
L’intervista Bbc del 10 febbraio 2015 al presidente siriano realizzata da Jeremy Bowen, inviato di guerra, mette in luce proprio questo dato. Smascherando un sistema che non tutela la sua cittadinanza, rivela come, citando le prime dimostrazioni a Damasco, il popolo chiedesse pace e democrazia, non il califfato.
Il conflitto si svolge su più terreni, e bando a terra ed etere, anche il piano mediatico assume un forte rilievo.
Il piano dei mezzi di comunicazione ha, per quanto non citato spesso e volentieri, un’importanza strategica non indifferente. Questo a partire dal fatto che inevitabilmente va ad influenzare le operazioni militari ed anche il loro esito.
Sono una miriade le agenzie assoggettate ai governi, piuttosto che al regime, negazioniste rispetto a quanto prima del 2012 stesse effettivamente succedendo.
Accanto a queste troviamo effettivamente tutta una serie di blog indipendenti che lavorano efficientemente per fare informazione, ma che tuttavia devono anche scontrarsi con il fantomatico esercito di hacker in una battaglia di troll della disinformazione senza eguali.
Una situazione che inevitabilmente porta a galla una narrativa disinformante in più e più casi.
La battaglia
La battaglia di Aleppo si rivela difficile da definire e da raccontare: tralasciando la narrativa fittizia, il problema di fondo è che sono molteplici le forze in campo.
All’interno della Siria sono tanti gli scontri locali, tante le alleanze indefinite. Emblematico il caso di Al-Quaeda, che dopo aver
cambiato il nome in Jabhat al–Nusra, conta dell’appoggio di tante fazioni ribelli.
Si tratta di un quadro di alleanze che rende complesso il piano di intervento in loco, per via delle difficoltà di inquadrare al meglio chi siano i corpi coinvolti pericolosi, e quali no. E ripetere gli errori determinati da questi fattori in Afghanistan non potrebbe che accendere una mina ben più pericolosa.
Altra questione controversa è data dal fatto che non vi sono forze di peacekeeping ad Aleppo. A denunciarlo Amnesty International, ma non solo, palesando come questa sia una guerra senza scopo che si limita a logorare la cittadinanza e i vari combattenti.
Il paradigmatico caso di Aleppo, nella sua estrema complessità, palesa come una battaglia fine a se stessa che non considera minimamente le necessità della società civile possa rivelarsi l’inizio di una condizione estremamente più complessa e duratura in cui, per via dei tanti motivi di divisione, l’unificazione del Paese non sarà possibile.
Le azioni che prendono poi di mira i civili, segnalate a più riprese da Amnesty International, oltre alla condanna che la società internazionale deve concretamente portare avanti e punire, potrebbero andare a fomentare quell’odio che sta alla base della nascita di tante fazioni terroristiche contro cui oggi ci troviamo a confrontarci.
Basti pensare che il manifesto programmatico di Al Quaeda, reso noto nel 1998, recitava:
“Da sette anni gli Stati Uniti occupano le terre dell’Islam nella Penisola Araba, saccheggiando le nostre ricchezze, imponendo la loro volontà ai nostri governanti, terrorizzando i nostri vicini e usando le loro basi militari nella Penisola per combattere i popoli musulmani vicini.”
È Terzani poi, in un reportage che risale al 2001 sulla mentalità jihadista, a mettere a fuoco come quel saccheggiamento incondizionato stava alla base dell’odio che ha prodotto il terrorismo.
I protagonisti
I protagonisti della battaglia di Aleppo sono molteplici come su accennato.
Vi è Mosca, in prima fila, che insieme alle forze del regime di Assad, via terra ed etere, sta svolgendo una battaglia spietate, che tuttavia sul fronte della sconfitta del terrorismo si rivela vincente.
Il relativismo della definizione vincente viene tuttavia a galla per via della crudeltà del regime accanto al quale si sta combattendo, e di una battaglia che si svolge quindi anche contro quelle forze ribelli che nulla hanno a che fare con lo stesso. E che inevitabilmente si riverte sulla società civile.
Vi è il regime, che ha al suo fianco delle milizie che mirano alla costruzione di un sistema di influenza regionale pericoloso.
Gli Stati Uniti, capofila della fazione Occidentale e di alcune arabe, si trovano più che altro in una posizione di osservatorio generale, che desta tuttavia non poche perplessità.
L’immobilismo del gigante oltreoceano che tuttavia continua a polemizzare su tutti i fronti in un disperato tentativo di non perdere la sua supremazia non gioca in favore della causa.
La Turchia, che si pone contro regime e terrorismo, entra in campo per il semplice timore che la fazione curda possa da lì ampliare i propri territori lungo il confine, in controffensiva alle forze dell’ISIS.
Arabia Saudita e monarchie del Golfo stanno vivendo una fase di forte indecisionismo, nella consapevolezza che la gestione della fase di transizione non è semplice come sembra.
L’ISIS e Jabhat Fateh al-Sham alias Al Nusra (Al Qaeda) sembrano voler deporre le armi, concentrando la loro attenzione sui territori di Raqqa – testimoniato dalla nuova parziale occupazione di Palmira.
Conclusioni
Mentre gli americani rafforzano la controffensiva terroristica nei territori di Raqqa e il nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierrez, fa “della pace e della solidarietà la bandiera del suo mandato”, i vari stop and go nell’evacuazione dei civili da Aleppo creano forti preoccupazioni.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza rispetto alla situazione, che mirava a un “cessate il fuoco”, viene bloccata dal veto russo e l’astensione cinese. Si trattava comunque di una risoluzione manifestante l’impotenza del Consiglio rispetto a quanto sta accadendo e che avrebbe dato una manifestazione solidale e di principio prettamente simbolica.
La situazione di Aleppo, non è per nulla facile. Portare avanti semplificazioni di fatto crea semplicemente disinformazione rispetto alla questione.
È semplicemente la collaborazione di tutte le forze in campo, sotto l’imperativo della tutela della società civile, a poter concretamente condurre a un miglioramento.
Primeggiare politicamente è controproducente. Gli atti di forza sono inutile. Vige la necessità dell’impegno comune ora come non mai.
Infine, ma non per questo meno importante, il recupero dell’umanità da parte della società globale investita da un’apatia generale che non spinge sicuramente i governi alla collaborazione in vista di un problema di tale rilievo.
Nelo Risi, poeta e regista milanese, fratello del regista Dino, scrive agli albori della televisione italiana, 1962, una poesia dal titolo “Telegiornale”, che recita:
“Stando nel cerchio d’ombra
come selvaggi intorno al fuoco
bonariamente entra in famiglia
qualche immagine di sterminio.
Così ogni sera si teorizza
la violenza della storia.”
Essere umani vuol dire recuperare quel grado di umanità che l’educazione alla violenza a cui quotidianamente siamo sottoposti ci ha di buon grado privato.
Nella considerazione che quella guerra, di fronte al quale siamo del tutto apatici, non è detto un giorno, o di qui a breve, tocchi anche noi.
Per un mondo migliore si lotta insieme, nessuno si può autoescludere pensando non vi siano conseguenze.
Di Ilaria Piromalli
La documentazione per l’articolo è stata recuperata attraverso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), di cui si cita in particole il lavoro di ricerca di Eugenio Dacrema (http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ad-aleppo-si-delinea-il-futuro-della-siria-15613 ).
Ulteriori fonti: http://www.bbc.com/news/world-middle-east-31327153
Grazie