Sono le 9 del mattino del 16 marzo 1978, all’angolo tra via Fani e via Stresa a Roma, le Brigate Rosse portano a termine il colpo più tragico e clamoroso della loro attività: il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e lo sterminio della sua scorta.
Chi sono le BR?
La prime domande che viene naturale porsi quando si studia la strage di via Fani sono forse le seguenti: chi sono le Brigate Rosse? Quali sono le motivazioni che le portano a compiere una carneficina del genere?
Le Brigate Rosse sono un gruppo terroristico che nasce nel 1970 con lo scopo di superare il conflitto di classe e l’inconciliabilità che percepiscono tra le rivendicazioni del movimento operaio e i partiti attraverso la lotta armata. In un primo momento, la lotta si esprime soprattutto attraverso attentati dimostrativi all’interno dei confini delle fabbriche e sequestri di dirigenti industriali.
Tra il 1974 e il 1976, la maggior parte dei membri iniziali viene uccisa o arrestata. In questo periodo, sotto la guida di Mario Moretti, l’obbiettivo delle BR si amplia, diventando lo stato stesso. Gli attentati sono ora studiati per colpire la scena politica, costituita dall’unione di PCI e Democrazia Cristiana, e gli apparati di repressione. Citando le parole dello stesso Mario Moretti, il cambio di bersaglio avviene quando le BR si rendono conto che “il rapporto fra la proprietà industriale e lo stato è stretto, e non si può colpire l’uno senza che intervenga l’altro”. In un certo senso, la volontà diviene quella di processare lo stesso stato che sta processando i compagni del nucleo storico.
Le BR considereranno il rapimento di Aldo Moro come un “attacco al cuore dello stato”, l’incarnazione di un sogno di rivalsa proletaria. Tuttavia, come si legge nella prefazione del libro “Brigate rosse: una storia italiana”, la classe operaia, pur simpatizzando con le Brigate Rosse, non è sovrapponibile ad esse e non sempre condivide le modalità violente di questo gruppo terroristico. Infatti, il sequestro Moro lascerà gli operai ammutoliti, dimostrando ulteriormente la tragica condizione di solitudine di questa classe, che non trova vera rappresentanza né nei partiti, né nelle Brigate Rosse.
La preparazione dell’agguato
L’agguato ad Aldo Moro e alla sua scorta non è un’impresa facile e richiederà un’ampia preparazione. Innanzitutto, la colonna romana delle BR dovrà individuare un luogo adatto per il sequestro. Ad effettuare i sopralluoghi saranno soprattutto Adriana Faranda e Valerio Morucci.
La prima informazione utile in possesso delle BR riguarda l’abitudine di Aldo Moro di recarsi ogni mattina a pregare nella chiesa di Santa Chiara. Questo sarà il luogo dove le brigate immaginano inizialmente il sequestro. Tuttavia, dopo aver svolto alcuni sopralluoghi, si renderanno conto che questo posto non è adatto. Infatti, lì vicino si trova un asilo; quindi, se la scorta di Moro dovesse sparare, c’è il rischio che rimangano colpiti dei bambini. A questo, si unisce la difficoltà di fuggire rimanendo inosservati dalla scorta che compra sempre il giornale nell’edicola vicino all’uscita della chiesa.
La seconda scelta, essendo Aldo Moro un professore universitario, è proprio l’aula universitaria. Questo luogo apparirà poco adatto, poiché, siccome gli studenti vengono considerati come soggetti pericolosi, la scorta di Aldo Moro è sempre molto all’erta nel contesto dell’università.
Per questi motivi, la scelta ricade infine sull’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, dove il presidente della DC passa ogni mattina in macchina per recarsi alla chiesa di Santa Chiara. Una cosa è certa, siccome il rapimento avverrà per strada, sarà necessario sparare a tutti i poliziotti della scorta per poter rapire Moro. Inoltre, anche questo luogo presenta delle criticità: in particolare, qui staziona ogni mattina un fioraio ambulante che nella sparatoria rimarrebbe sicuramente colpito. Tuttavia, questa difficoltà è facilmente risolvibile, basterà, nel giorno previsto per il sequestro, bucargli le ruote dell’automobile in modo che tardi a lavoro.
Stabilito il luogo, le BR cominciano a studiare l’azione e si rendono conto che serviranno undici brigatisti per portarla a termine. Siccome i militanti della colonna romana non sono sufficienti, verranno chiamati anche un brigatista da Torino (Raffaele Fiore) ed uno da Milano (Franco Bonisoli), che ripartiranno in treno subito dopo l’azione.
La strage
Ogni militante è l’ingranaggio di un apparato congegnato meticolosamente. Mario Moretti si trova in una 128 bianca che resta parcheggiata in via Fani. Un’altra compagna, Rita Algranti, è incaricata di fare la vedetta e lo avvisa nel momento in cui le macchine del presidente e della scorta sono in avvicinamento.
Quando arrivano le macchine del presidente Moro e della scorta, Mario Moretti dovrà immettersi in strada davanti a loro per poi fermarsi allo stop (l’incrocio tra via Fani e via Stresa). Qui i quattro brigatisti incaricati di sparare (Valerio Morucci, Prospero Gallinari, Raffaele Fiore e Franco Bonisoli), che aspettano travestiti da piloti dell’Alitalia per non dare nell’occhio e poter nascondere agevolmente le armi sotto gli impermeabili, aprono il fuoco. Rimangono uccisi tutti i cinque uomini della scorta: Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Domenico Ricci e Oreste Leonardi.
Allo stop attendono altre tre macchine, una guidata da Bruno Seghetti, pronta a caricare Moro, e altre due che servono per caricare i quattro brigatisti che hanno sparato alla scorta. A bordo di una di queste due si trovano Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, l’altra è guidata da Barbera Balzerani.
La fuga
L’azione avviene nel giro di tre minuti e tutti i brigatisti riescono a fuggire. Aldo Moro viene portato nel luogo che sarà teatro della sua prigionia per i 55 giorni successivi, l’appartamento di via Montalcini numero 8. Questo appartamento è stato acquistato nei mesi precedenti dalla compagna Anna Laura Braghetti che vive qui insieme a Germano Maccari, che ha assunto un’identità fittizia: è conosciuto come l’ingegner Luigi Altobelli. I due appaiono come una normalissima giovane coppia e si sono integrati perfettamente nel quartiere, risultando quindi insospettabili. Nello studio dell’appartamento è stato realizzato un box, occultato perfettamente dall’arredamento, dove verrà nascosto Aldo Moro.
Per conoscere più nei dettagli le fasi di preparazione e attuazione della strage di via Fani consigliamo di ascoltare l’avvincente conferenza del professor Barbero sull’argomento.
I 55 giorni: le lettere di Aldo Moro e la linea della fermezza
Quello che sappiamo sui 55 giorni di prigionia di Aldo Moro deriva dal memoriale che egli redige durante la sua reclusione e dalle lettere che indirizza alla famiglia, ai compagni di partito e al papa. Oltre a questo, a ricostruire questo periodo possono aiutarci anche le testimonianze dello stesso Mario Moretti, che sarà l’unico interlocutore di Aldo Moro in questi giorni.
La prima lettera scritta da Aldo Moro è indirizzata al ministro dell’interno Francesco Cossiga. Nonostante la richiesta di riservatezza di Moro, i rapitori la inviano in fotocopia ai giornali. Già a partire da questa prima missiva, i giornali e la DC reagiranno dichiarando che il presidente non sembra in sé, che magari l’hanno drogato o che forse scrive sotto dettatura. Saranno questi i primi segnali che faranno intendere la linea che sarà successivamente adottata dalla DC: la linea della fermezza.
Col passare dei giorni diventerà sempre più chiaro che la DC non vuole cedere alle condizioni delle BR, ovvero la liberazione dei compagni in carcere. Lo stato non vuole mostrarsi debole, non vuole cedere ai ricatti dei terroristi. Nel frattempo, si susseguono ricerche ed indagini fallimentari.
Insomma, Aldo Moro si vede girare le spalle uno ad uno da tutti i suoi amici e compagni di partito, la sua rabbia e la sua disperazione crescono, tanto che in una delle ultime lettere indirizzate a Zaccagnini scrive: “Il mio sangue ricadrà su di voi e sul partito”.
Papa Paolo VI: i tentativi di trattativa sotterranei
Non mancheranno i tentativi di trattativa sotterranea: Il papa Paolo VI, che era molto amico di Moro, proverà, d’accordo col governo, ad offrire ai rapitori un ingente riscatto, ma senza ottenere niente. Le Brigate Rosse non sono interessate al denaro, ma al principio, ovvero il riconoscimento ufficiale da parte della DC dello stato di prigionieri politici dei compagni in galera.
In sede ufficiale il papa si allinea con la posizione della DC. Mario Moretti ricorda una lettera che Paolo VI indirizzerà alle Brigate Rosse in cui, nonostante il tono accorato, il pontefice esplicita che non è disposto ad assecondare in alcun modo le richieste dei rapitori: “lasciatelo senza condizioni”. Il brigatista racconta la disperazione di Aldo Moro che in quel momento si rende conto che sia lo stato che il pontefice hanno deciso che è meglio condannarlo a morte che trattare coi terroristi.
La tragica condizione di Aldo Moro che pian piano si rende conto che sarà solo lui a pagare per le malefatte dell’intera DC è raccontata in maniera molto efficace dal film di Bellocchio “Esterno notte” uscito nel 2022.
Il covo di via Gradoli
L’unico successo nelle indagini sarà l’individuazione del covo BR in via Gradoli il 18 aprile 1978. Al momento dell’irruzione della polizia, Mario Moretti e Barbara Balzerani non sono in casa e riescono quindi a farla franca.
Attorno all’individuazione del covo di via Gradoli sono nate molte teorie contrastanti. Questo luogo viene scoperto per caso, in seguito alle lamentele avanzate dagli abitanti del piano di sotto riguardo ad una perdita d’acqua che aveva provocato delle infiltrazioni nel soffitto. Come racconteranno in seguito gli stessi brigatisti, Barbara Balzerani era molto distratta e aveva dimenticato aperto il rubinetto della doccia. Tuttavia, le dietrologie sul perché l’acqua fosse aperta si sono sprecate.
Un dato interessante che riguarda questo ritrovamento è poi quello per cui il nome “Gradoli” era già saltato fuori qualche tempo prima. In particolare, Romano Prodi, politico e professore universitario di Bologna, aveva raccontato che lui ed altri professori avevano svolto una seduta spiritica, chiedendo dove si trovasse Aldo Moro. Il nome che era saltato fuori sulla tavoletta era proprio “Gradoli”. Secondo quanto si racconta, gli incaricati delle indagini cercarono inutilmente il covo nel comune viterbese con questo nome. Poi, considerano che si potesse trattare di una via, tuttavia, nessuno ricorda una strada di Roma che si chiama così. Si decide quindi di abbandonare la pista.
Anche questo episodio ha dato molto da discutere. In definitiva si è congetturato che Prodi conoscesse il nome della strada in cui si trovava il covo, perché doveva averlo sentito all’Università di Bologna. Secondo questa teoria, non volendo riferire direttamente come era venuto a conoscenza di quest’informazione, Prodi studiò l’escamotage della seduta spiritica.
Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro
Il tragico epilogo del caso Moro si ha il 9 maggio 1978, quando i brigatisti ammazzano il presidente della DC e mettono il cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 rossa che parcheggiano in via Michelangelo Caetani, a due passi delle sedi sia della DC che del PCI. Il ritrovamento dell’auto da parte della polizia avverrà il giorno stesso.
La decisione non è presa a cuor leggero dai brigatisti. Adriana Faranda e Valerio Morucci resteranno contrari fino alla fine all’uccisione di Aldo Moro. Lo stesso Moretti il 30 aprile 1978 telefona alla moglie di Moro per spingerla a fare pressione sui vertici della DC, affinché accettino di trattare, salvando così la vita al presidente. Tuttavia, la decisione di ucciderlo verrà presa a maggioranza dalle BR, che non vogliono apparire remissive nei confronti dello stato.
I funerali, per volere dello stesso Moro, si svolgono in privato. Ci sarà anche una celebrazione pubblica nella basilica di San Giovanni in Laterano, ma senza feretro.
Negli anni successivi, anche se in tempi diversi, i brigatisti coinvolti nel caso Moro sono stati arrestati tutti. L’unico rimasto a piede libero è Alessio Casimirri, che è riuscito a fuggire in Nicaragua. Alcuni, come Adriana Faranda e Valerio Morucci, hanno scontato pene ridotte dopo essersi dissociati dalle Brigate Rosse.
Le conseguenze del caso Moro sulla politica italiana
Al di là di tutte le dietrologie e di alcuni particolari considerati a tutt’oggi contraddittori, una cosa è certa: la morte di Aldo Moro ha tagliato con l’accetta la storia della politica italiana. Infatti, con Moro muore anche il Compromesso Storico tra Democrazia Cristiana e PCI. La DC rimane al governo fino al 1994, mentre il PCI, con cui la DC decide di non intraprendere più alcun tipo d’accordo, subisce un forte arretramento elettorale ed ideologico, rimanendo definitivamente escluso dall’esecutivo.