I centri in Albania fortemente voluti dal governo Meloni sono stati al centro di dibattiti negli scorsi giorni dopo un primo, estremamente discusso, trasferimento di 16 migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto, considerati dall’Italia Paesi sicuri. Mentre 4 migranti erano stati riportati immediatamente in territorio italiano perché vulnerabili, poco dopo il Tribunale di Roma non aveva convalidato il trattenimento degli altri 12 migranti perché «i Paesi da dove vengono non sono sicuri». In risposta, nonostante gli enormi fondi spesi per questo progetto e le mobilitazioni di ONG e partiti dell’opposizione contro questi centri di rimpatrio, il Cdm ha approvato un decreto legge che rende norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio.
Le vicende in Albania e il Tribunale di Roma
In Albania la situazione sembra arrivata al paradosso. I centri, la cui apertura era stata rimandata già numerose volte, rientrano all’interno della direzione intrapresa non solo dall’Italia ma anche dall’Unione Europea per quanto riguarda le politiche migratorie e l’esternalizzazione delle frontiere. Il primo trasferimento in territorio albanese di 16 migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto è costato circa 20mila euro a migrante e ha costretto queste persone a due giorni di navigazione verso i centri di Gjader e Shenjin. L’intera operazione dei CPR in Albania per lo Stato Italiano si aggira attorno a 1 miliardo di euro in 5 anni.
Le immagini di questa immensa nave militare con a bordo appena 16 persone dirette verso un luogo che ospita più forze dell’ordine e personale che migranti ha mostrato l’assurdità del progetto Albania. Questo, però, non deve distogliere l’attenzione dal fatto che la sorte toccata a “solo” 16 migranti potrebbe riguardare migliaia di persone ogni anno. Sono numerose le associazioni e i partiti che hanno denunciato la situazione dei centri di Gjader e Shenjin, modello inquietante di esternalizzazione delle frontiere, nonostante ciò applaudito da altri governi europei e dalla stessa Ursula Von der Leyen, che negli scorsi giorni aveva sottolineato l’importanza di sviluppare hub di rimpatrio sul modello di quelli in Albania.
«Quello che dovrebbe essere un modello per l’Europa rischia in realtà di diventare il luogo dove non solo vengono sistematicamente calpestati i diritti fondamentali della persona, ma dove si sgretola il senso stesso della nostra civiltà europea»,
ha però sottolineato Alberto Barbieri, medico e coordinatore generale di Medici per i Diritti Umani. Questo si è riflesso anche nella decisione del Tribunale di Roma di non convalidare il trattenimento dei 12 migranti in Albania, rientrati infatti negli scorsi giorni a Bari. I magistrati hanno ritenuto che il Bangladesh e l’Egitto non siano da considerare Paesi sicuri, sospendendo l’applicabilità della procedura di frontiera, nonostante questi Paesi siano presenti nella lista italiana di Paesi considerati sicuri.
Paesi sicuri e procedure accelerate di frontiera
Ma cosa significa provenire da Paesi sicuri? Un Paese, secondo le legislazioni europee, può essere considerato sicuro solamente se privo di persecuzioni sistematiche o conflitti, sicuro per tutti i suoi cittadini e sull’intero territorio nazionale, un Paese che in linea teorica non fornirebbe motivi per spingere le persone a chiedere asilo altrove. Già di per sé definizione critica e aperta a innumerevoli interpretazioni, provenire da Paesi sicuri, o meglio, considerati tali, può avere enormi conseguenze sul futuro e sui percorsi migratori di molte persone. Se provenienti da Paesi sicuri, si può infatti essere sottoposti a procedure accelerate per l’esame della domanda d’asilo: le domande delle persone provenienti da questi Paesi sono valutate con tempistiche più rapide, finendo con un diniego più spesso rispetto alle procedure ordinarie. Questo perché vi è la presunzione che le persone non incorrano in “reali” pericoli nel Paese d’origine.
Le procedure accelerate, introdotte nella legislazione europea con la Direttiva 2005/85/CE, prevedono una valutazione rapida delle domande di protezione internazionale rispetto alla procedura ordinaria. Una loro sottocategoria, le procedure accelerate di frontiera, era inizialmente applicata a chi tentava di eludere i controlli di confine. Con i decreti Salvini (2019) e Cutro (2023), l’uso di queste procedure si è ampliato, includendo anche richiedenti asilo da Paesi considerati sicuri, con un esame che si svolge in frontiera entro sette giorni e, in alcuni casi, con trattenimento in Centri per i Rimpatri (CPR), come nel caso dei centri in Albania. Queste modalità destano preoccupazione tra gli avvocati e le associazioni solidali, poiché oltre alla contrazione delle tempistiche, spesso durante il periodo di permanenza nei centri, le persone in movimento non possono parlare con le famiglie o con avvocati, affrontando di fatto la procedura d’esame della domanda di protezione senza alcuna informativa legale. Tutto questo rientra in una chiara volontà di contrarre il diritto d’asilo in Europa, anche attraverso la costruzione di questi centri che spostano addirittura la valutazione delle procedure al di fuori del territorio italiano, con un valore anche estremamente simbolico, impedendo alle persone in movimento di accedere al territorio nazionale.
La decisione del Cdm e il decreto legge sui Paesi sicuri
Nonostante la situazione al limite del grottesco, che mette a rischio i diritti umani di numerose persone, il governo Meloni continua imperterrito nel progetto dei centri di rimpatrio in Albania. Ieri sera, infatti, il Cdm si è riunito e ha approvato un decreto legge che rende norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio. Il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha immediatamente dichiarato che la lista dei Paesi sicuri
«diventa norma primaria e consente ai giudici di avere un parametro rispetto a un’ondivaga interpretazione. Abbiamo avuto diverse centinaia di casi precedenti di decisioni che non condividiamo e abbiamo legittimamente impugnato. Adesso è norma di legge e offriamo una valutazione fatta per legge».
Questa operazione, quindi, rende più difficilmente contestabili le decisioni del governo per quanto riguarda la sorte delle persone provenienti da Paesi presenti nella lista dei Paesi sicuri. Dei 22 originariamente presenti, sono stati esclusi, fortunatamente, Camerun, Nigeria e Colombia, ritenuti non più sicuri in conformità alla sentenza della Corte di Giustizia Europea perché non considerabili sicuri su tutto il territorio nazionale. Rimangono considerati sicuri 19 Paesi: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Tra questi, Egitto e Bangladesh erano stati inseriti di recente, sollevando numerosi dubbi sulla validità di tale inserimento. Inevitabile, infatti, notare che Bangladesh ed Egitto nell’ultimo anno sono state tra le nazionalità maggiormente sbarcate a Lampedusa.
Il fatto che la lista di Paesi sicuri limiti il diritto all’asilo e ponga ulteriori ostacoli su viaggi migratori che espongono i migranti a violenze, detenzioni arbitrarie e soprusi è aggravato ancora di più dal fatto che all’interno di questo elenco sia presente la Tunisia, Paese dove vengono sistematicamente violati i diritti umani dei migranti. Inoltre, l’Italia si macchia sistematicamente di respingimenti in Paesi che non figurano tra i Paesi sicuri, come la Libia, di fatto ignorando le disposizioni europee in materia di diritti umani e condannando migliaia di persone, anche le più vulnerabili, a una sorte fatta di violenze.
Nonostante le numerose condanne da parte di ONG, partiti e magistratura del progetto Albania, il governo italiano continua imperterrito in questo progetto con il beneplacito dell’Unione Europea, progetto che è costato uno sproposito alle casse italiane e che apparirebbe al limite del ridicolo se non si giocasse sulla pelle di numerose persone. Tutto questo rientra in un più ampio progetto di esternalizzazione delle frontiere europee, con un’Europa sempre più chiusa in se stessa che criminalizza e stigmatizza le migrazioni irregolari. Le politiche migratorie intraprese dal governo italiano ben si inseriscono in questo progetto, che sembra fatto esclusivamente per calpestare i diritti umani e condannare a ulteriori soprusi numerose persone.