A pochi giorni dalla conclusione del Congresso della Famiglia di Verona, anche negli Stati Uniti si torna a discutere di diritti.
Lo Stato dell’Alabama ha infatti proposto un progetto di legge per sanzionare i medici che praticano l’aborto – in qualunque fase della gravidanza – con pene da un minimo di 10 fino ad un massimo di 99 anni di carcere.
Dovesse essere approvata, questa legge renderebbe illegale l’aborto anche in caso di stupro o incesto, ad eccezione dei casi di “serio rischio per la salute della madre“.
Staci Fox, presidente e AD di Planned Parenthood Southeast, ha definito la legge “una condanna a morte per le donne di questo Stato“.
Obiettivo Corte Suprema
L’Alabama non è però il primo Stato a portare avanti un’iniziativa di questo tipo. In Kentucky e nel Missouri, ad esempio, l’aborto è illegale dal momento in cui il primo battito cardiaco del feto è percepibile (circa alla sesta settimana), mentre anche in Georgia e in South Carolina sono in discussione proposte simili.
Ciò a cui puntano i sostenitori del progetto di legge però va ben oltre la legislazione di un singolo Stato.
Negli Stati Uniti il diritto all’aborto è regolato da una decisione della Corte Suprema del 1973 che lo ha legalizzato a livello nazionale, lasciando però ai singoli Stati il compito di stabilirne la regolamentazione.
Come dichiarato da Terri Collins, deputata repubblicana sponsor dell’iniziativa, “il punto centrale è far sì che la Corte riconsideri questa materia” ribaltando la sentenza di oltre quarant’anni fa.
L’ingresso di due nuovi giudici conservatori potrebbe in questo senso rappresentare una sponda per i repubblicani.
Le politiche di Trump
Il dibattito è acceso anche a livello nazionale, soprattutto dall’inizio del mandato di Trump. Pochi giorni dopo il suo insediamento il governo ha ripristinato la Mexico City policy, una norma (entrata in vigore per la prima volta con Reagan nel 1984) che obbliga le ONG straniere che ricevono finanziamenti Usa a non praticare né a dare consulenza sull’aborto.
Non solo. Trump ha ampliato le restrizioni vietando a queste ONG di finanziare a loro volta organizzazioni che praticano o discutono della possibilità dell’aborto, anche laddove quest’ultime siano coinvolte nella prevenzione e cura di malaria, HIV o altre malattie infettive.
Nel 2017 gli Stati Uniti hanno annunciato di voler dimezzare i finanziamenti garantiti al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione – l’agenzia per la salute sessuale e riproduttiva in situazioni di crisi – perché accusata di favorire l'”aborto forzato” in Cina (dove promuove l’educazione alla pianificazione familiare volontaria per le donne e le ragazze delle zone più povere del Paese).
Inoltre, a febbraio di quest’anno, il governo ha stabilito che verranno escluse dai fondi del Programma di Pianificazione Familiare (circa 280 milioni di dollari), riservato alle famiglie statunitensi con un basso reddito o senza assicurazione, anche le cliniche che indirizzano i pazienti in strutture dove poter abortire e non solo quelle che lo praticano.
“Dal 1973 – recita il testo della legge in discussione in Alabama – negli Stati Uniti sono stati abortiti più di 50 milioni di bambini, più di tre volte il numero delle vittime dei campi di concentramento tedeschi, delle purghe cinesi, dei gulag di Stalin, dei campi di sterminio della Cambogia e del genocidio in Ruanda messi insieme.”
Mentre da una parte cresce la preoccupazione che queste politiche possano portare a un aumento degli aborti clandestini e quindi ad elevati rischi per la salute di donne e bambini, in Alabama hanno le idee piuttosto chiare.
Alessandro Rettori