Ahmed Abdallah Al Sheikh, presidente del consiglio di amministrazione della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, da due mesi consulente della famiglia Regeni, è stato arrestato e incarcerato ad Aprile, ora hanno prolungato il suo fermo. Le accuse inizialmente erano di normale amministrazione, di questi tempi in Egitto: favoreggiamento al terrorismo, partecipazione a manifestazioni non autorizzate.
Al Sheikh recentemente è stato accusato anche istigazione al disordine verso le autorità e di pubblicazione di notizie false riguardo il governo, subendo un prolungamento del fermo da 4 a 15 giorni. Lo stesso Al Sheikh non è molto fiducioso riguardo un riscontro a lieto fine e sottolinea fermamente che il vero motivo per cui è stato arrestato è il suo coinvolgimento nel caso Regeni e invita la famiglia di Giulio a non mollare:
“Le autorità hanno sempre negato la relazione tra il mio arresto e il fatto che mi occupassi di Giulio, ora invece mi hanno detto che la ragione è proprio quella. La verità prima o poi esce fuori.”
Amnesty International ha stilato un reportage secondo il quale sono almeno 238 le persone, tra attivisti e giornalisti locali e stranieri, arrestate in varie città dell’Egitto. Ognuna di queste persone è descritta dai giornali locali come mostruosi terroristi contro il Regime.
Non solo: sembrerebbe essere un vero e proprio atteggiamento di noia e disprezzo da parte del Governo riguardo la faccenda Regeni, come se non ne potessero più e non si spiegassero perché questo assassinio sia divenuto un caso di tale portata mondiale; così reagiscono anche i loro giornali, come è accaduto con la giornalista di Al Arabya, che in un suo sfogo (il quale, dopo una valanga di proteste è stato smentito con scuse a seguito) ha detto, riguardo l’assassinio di Regeni che “non è il primo che capita, che andasse al diavolo, siamo stufi”. Nel frattempo, chiunque tenti di opporsi o di fare luce sulla questione, di esprimersi e di manifestare, viene sbattuto il carcere.
Al Sisi e i suoi scagnozzi hanno fatto comprendere a livello mondiale che questa verità che tanto si chiede e si pretende, non verrà fuori facilmente.
In faccia a quello che potrebbe essere la rassegnazione di Al Sheikh davanti a un destino forse inevitabile, lì in carcere, c’è da domandarsi se invece non sia proprio quello il coraggio: il coraggio di chi continua a sostenere la ricerca della verità, strettamente legato a un senso del dovere e della libertà. E quanto si stringe lo stomaco, in una morsa di tensione e angoscia, pensando a quanto, una scelta del genere, possa costare. Verità, verità si chiede e nessun prezzo per pagarla.
Gea Di Bella