Abu Muhammad al-Julani, 42 anni, è il leader di Hay’at Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante), il gruppo armato di ribelli islamici che negli scorsi giorni ha fatto cadere il regime di Bashar Hafiz al-Assad e una dinastia di potere durata 50 anni. Di lui si è detto molto: spietato terrorista, promettente rivoluzionario e statista. Una cosa è certa: il futuro della “Siria libera” dipenderà soprattutto da lui.
Un passato scomodo
Aḥmad Ḥusayn al-Sharʿa, questo è il vero nome del capo dell’HTS al-Julani, nasce nel 1982 a Riad in Arabia Saudita da una famiglia originaria del Golan, l’area soggetta all’occupazione israeliana dal 1967. La famiglia, vicina agli ambienti del nazionalismo arabo laico, ritorna nei pressi di Damasco alla fine degli anni ’80.
Il suo avvicinamento alla fede islamica è riconducibile agli anni 2000 e in particolare al contesto dell’invasione statunitense dell’Iraq avvenuta nel 2003: è qui che al-Julani entra in contatto con gli ambienti di al-Qaeda, il movimento terroristico islamista guidato da Osama bin Laden. In seguito, fu arrestato dagli americani e detenuto nel carcere destinato ai sospetti terroristi di Camp Bucca.
Lo stretto rapporto con al-Baghdadi, capo dell’ISIS, lo fa diventare responsabile delle operazioni nella provincia di Mossul e successivamente lo riporta in Siria, dove fonda nel 2012 il braccio destro di al-Qaeda denominato “Fronte al-Nusra“, nell’ambito della prima insurrezione contro il governo di Assad.
Con l’intensificarsi della guerra civile in Siria si sgretola anche il legame tra i due, soprattutto con la decisione di al-Baghdadi di fondere al-Nusra e al-Qaeda nel suo progetto di Stato islamico: Abu Muhammad al-Julani decide così di prendere le distanze da questa linea dura e brutale, rimanendo fedele ad Al Qaeda che nel frattempo aveva deciso di dissociarsi e staccarsi completamente dall’ISIS.
L’ascesa al potere
Tra il 2015 e il 2016, il capo dei ribelli siriani intensifica i suoi sforzi nella militanza contro il potere centrale, criticando aspramente l’Occidente e la sua intenzione di non voler portare una pace reale in Siria. Il video in cui, a volto coperto, annuncia la fondazione dell’HTS ha fatto il giro del mondo, attirando l’opposizione dell’ISIS.
In breve tempo, il gruppo antigovernativo ottiene sempre più potere nella parte nord-occidentale del Paese, grazie anche alla sua operazione di rebranding: facendo leva sulla tolleranza e sul pluralismo e schierandosi contro la violenza indiscriminata e gli estremisti, al-Julani è riuscito a capovolgere la sua immagine pubblica e ottenere nuovi consensi.
La rivalutazione della sua persona potrebbe anche coinvolgere gli Stati Uniti, che lo avevano bollato come terrorista e affisso una taglia di 10 milioni di dollari sulla sua testa. Questo cambiamento si riflette anche sullo stesso look del leader dell’HTS, che dall’abbigliamento tipico degli jihadisti è passato a uno stile più occidentale, molto simile a quello del rivoluzionario Fidel Castro.
Anche se non si sa ancora se si tratti di una reale trasformazione ideologica o di una mossa politica, è bene ricordare le reali ragioni che lo hanno spinto ad allontanarsi da al-Baghdadi: si trattava infatti di un disaccordo sulla strategia da perseguire per il rovesciamento di Assad, riguardante anche i futuri rapporti con le superpotenze mondiali, che nulla toglie alla matrice violenta di ambedue le organizzazioni.
Infatti, come riportato anche da molte associazioni per la difesa dei diritti umani, Hay’at Tahrir al-Sham è stata protagonista di numerosi attacchi contro la popolazione civile, tra cui anche la minoranza dei curdi.
Il passaggio da terrorista con cui è impossibile dialogare a valido interlocutore è lungo dall’essere completo: la figura al-Julani necessita di essere analizzata con occhio critico e monitorata approfonditamente.
La sconfitta di Assad: “Siria libera“?
La presa di Damasco da parte degli uomini dell’HTS può apparire come una sorpresa ma in realtà è il risultato di anni di consolidamento del potere dell’HTS e del suo esercizio al pari di un’organizzazione statale, oltre che essere frutto dei nuovi equilibri in Medio Oriente (e in Europa).
L’HTS è riuscita prendere il controllo della zona di Idlib grazie al coinvolgimento della popolazione locale, dei media internazionali e al dialogo con gli enti umanitari, attraverso una raffinata operazione di manipolazione e sabotaggio politico-militare.
Dopo 11 giorni di offensiva militare, le forze dissidenti sono riuscite a conquistare la capitale mentre Assad è fuggito in Russia grazie all’asilo concessogli dal Cremlino.
Accolto da un bagno di folla, in uno dei suoi primi comunicati al popolo, il leader dei ribelli ha dichiarato:
«Questa una vittoria per la nazione islamica. Questo nuovo trionfo, fratelli miei, segna un nuovo capitolo nella storia della regione […] La Siria è stata per troppo tempo un parco giochi per le ambizioni iraniane, diffondendo settarismo e fomentando corruzione […] Questa è una nazione che, se i suoi diritti vengono violati, continuerà a pretenderli finché non saranno ripristinati: ho lasciato questa terra più di 20 anni fa e il mio cuore desiderava ardentemente questo momento.»
ln seguito, come annunciato da Al Jazeera, il capo del Governo di salvezza siriano Mohammed al-Bashir è stato incaricato di formare un nuovo governo per gestire il periodo di transizione.
In mancanza di posizioni chiare e nell’attesa di vedere gli sviluppi futuri circa l’operato dei ribelli insorgenti in Siria, ci si chiede quale sarà il ruolo dell’Europa in questa vicenda, soprattutto alla luce del comportamento usurpatore di Israele e Turchia che stanno approfittando della situazione per assicurarsi fette di territorio siriano.
Si apre così davanti a noi una situazione controversa, in cui la vittoria contro la spietata dittatura di Assad si mescola alle preoccupazioni per un futuro incerto, al coinvolgimento sempre dannoso dell’Occidente e all’emergere sulla scena internazionale di nuovi leader che non sembrano essersi mai davvero allontanati dal loro passato violento.