Quello che sta accadendo al confine tra Turchia e Grecia, rappresenta un atto di assoluta atrocità. Il sipario si è aperto solo pochi giorni fa e il prezzo del biglietto, come sempre, viene offerto interamente a spese dei più deboli, di chi non ha voce, dei poveri tormentati che si aggrappano alla vita in un unico disperato urlo: HELP ME!
Sarebbe troppo facile darvi in pasto quanto sta succedendo. Allo stesso modo, sarebbe troppo semplice, per voi, digerire la portata di carne umana. Uomini. Donne. Bambini. Ormai non hanno più né età né sesso. Il dramma livella tutte le vite, cancella il passato e corrode il futuro.
Per noi, che condividiamo i confini con chi ha meschinamente subaffittato l’abominio a crudeli dittatori senza coscienza, non è tempo di addolorarsi. Non lo è mai stato.
Occorre andare in profondità, immergersi e cercare la realtà, che per molti miseri disperati corrisponde all’ultimo respiro prima dell’oblio.
L’Europa è sempre più l’immagine astratta di una bandiera a sfondo blu e un concentrato di odio come asta. Nel 2016 la “Rotta Balcanica” andava bloccata. Le principali istituzioni hanno sentito la necessità di sventagliare questa bandiera, e “dal cielo” caddero 6 miliardi di euro nelle tasche della Turchia, in cambio del controllo dell’enorme numero di migranti distribuiti sul suo territorio. L’accordo fu definito dall’Europa come una “dichiarazione congiunta”. Ma, venendo incontro al lettore, posso fornire un termine di uso decisamente più comune nel nostro Bel Paese: tangente. Una tangente che ha violato un sostanziale numero di leggi in fatto di diritto di asilo.
L’equilibrio tra le parti era perfetto, l’Europa vedeva crescere la prima sterpaglia lungo la “Rotta Balcanica”, Erdoğan aveva il suo gruzzoletto e i migranti… beh, di quelli non importa niente a nessuno!
Ma le cose sono mutate. Da questa bilancia sono caduti 36 soldati turchi, vittime del regime siriano e degli alleati russi nella zona di Idlib. Gli equilibri sono cambiati. A deciderlo è stato lo stesso Erdoğan, che, guarda “caso”, subito dopo ha riaperto le frontiere ai migranti che non hanno mai smesso di sognare l’Europa.
Io non sono un genio e non ho mai dovuto elaborare strategie di negoziazione così complesse, però mi chiedo: quanto tempo richiederà trasformare la possibilità che il Presidente turco chieda, all’Europa, aiuto militare in Siria – e più soldi – in solida realtà?
Intanto cosa sta succedendo in Grecia? Di certo la compassione non ha preso il posto della dracma! Il governo non solo ha deciso di non riaprire i confini, si è anche rifiutato di esaminare le richieste d’asilo.
Le notizie che si leggono sui giornali sono gravi, ma è ancora più grave quello che fatica a raggiungere la superficie.
Ho il privilegio di essere in contatto con persone che quando parlano di migranti lo fanno riferendosi a esseri umani, non a numeri. Nawal Soufi è una di queste. È un’attivista per i diritti umani che si sta sporcando le mani tra il fango, la salsedine e il sangue greco.
Ci siamo sentiti durante la notte del 2 marzo e purtroppo non ho più sue notizie. Si stava nascondendo.
Mi ha raccontato di donne e bambini che stavano tentando di raggiungere le isole greche su gommoni manomessi. Di come le autorità greche stiano lasciando per ore le imbarcazioni in balia delle onde. Di come, nonostante sapessero che trasportare queste persone in villaggi come Thermi rappresentasse un grosso rischio a causa della presenza di centinaia di fascisti, pronti a minacciare giornalisti e volontari, se ne siano infischiati. Mi ha inviato le immagini della sua auto distrutta e parlato dei posti di blocco organizzati. Di come siano pronti a scagliarsi contro chiunque non parli greco o stia cercando di dare una mano ai migranti.
Ha condiviso con me testimonianze atroci di gente che, in queste ore, sta trascrivendo sulla propria pelle gli appunti di nuove lezioni di orrore e odio.
Al confine tra Turchia e Grecia le persone non sono altro che un ammasso di carne, merce di scambio, numeri in un mondo sempre più privo di umanità ed empatia.