Il documentario Silence=Death è un’opera che inneggia alla ribellione e alla sensibilizzazione riguardo all’epidemia di AIDS diffusasi negli anni ’80.
Silence= Death è stato recentemente inserito dal The New York Times Style Magazine nella lista delle venticinque opere più influenti dell’arte di protesta americana dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.
Ma perché ha avuto un così forte impatto?
Scritto e diretto da Rosa von Praunheim, vide la luce trent’anni fa, nel 1990. L’equazione che da il titolo al documentario nasce dall’idea di un collettivo newyorkese nell’87, il Silence=Death Project, per i diritti dei malati di AIDS .Il simbolo di questa lotta è rappresentato dal triangolo rosa (lo stesso usato dai nazisti per contrassegnare gli omosessuali). Silence=Death divenne un grido di protesta contro il silenzio in cui era immersa la malattia dell’AIDS.
Perché per diversi anni l’epidemia rimase nell’ombra?
Tema a lungo evitato dal governo americano perché andava a toccare argomenti considerati “scomodi”, come l’omosessualità e l’uso di stupefacenti. Il film è infatti un progetto a cui presero parte vari artisti-attivisti omosessuali dell’epoca, da David Wojnarowicz, ad Allen Ginsberg, da Keith Haring a Emilio Cubeiro, solo per citarne alcuni.
La t-shirt di Wojnarowicz “Fuck me safe” è un appello a praticare sesso protetto
Lo scopo era quello di sensibilizzare le persone riguardo l’AIDS, di metterle in guardia, di gridare: “l’AIDS esiste, non ignoriamola!”
Negli anni a venire la battaglia per contrastare la diffusione di questa malattia si fece più intensa e agguerrita. L’ AIDS si proiettò al centro del dibattito sanitario e nacquero molte iniziative e gruppi di supporto per i malati. L’AIDS smise così di essere invisibile.
Quindi l’Aids che fine ha fatto?
Spesso si parla dell’AIDS come di una malattia del passato, ma non è così. Ad oggi, secondo l’ISS (Istituto Superiore di Sanità) circa 39,5 milioni di persone convivono col virus dell’ HIV. Dopo il picco alla fine degli anni ’90 vi era stata una diminuzione dei casi. Negli ultimi anni, però, sembra che il numero globale di nuovi casi sia aumentato in quei paesi in cui la prevenzione è meno presente o assente del tutto. Sono i paesi del Sudafrica e dell’Europa dell’Est i più duramente colpiti.
Parlare di AIDS e parlare con i malati
L’educazione sessuale non era trasgressione negli anni ’90 e non lo è oggi. Trattare tematiche sessuali non “tenta” i più giovani ad avere rapporti, ma li rende più informati, responsabili e sani. Fondamentale per la sensibilizzazione è anche confrontarsi con chi convive con la malattia, chi ha il coraggio di dire “sì, sono sieropositivo”.
Ginevra Dinami