AIDS nell’arte: il genio che incontra la malattia

AIDS nell'arte

Approfondiamo l’AIDS nell’arte e conosciamo gli artisti che hanno dato voce al dolore e all’emarginazione.

Oggi è la giornata mondiale contro l’AIDS, una terribile malattia, sicuramente conosciuta, ma carica di stereotipi. Ancora, nel 2022, si fa fatica a parlarne in maniera consapevole. Vogliamo cercare di farlo oggi, nella giornata mondiale contro l’AIDS. Perché però non farlo in un modo nuovo? Proviamo a conoscere l’AIDS nell’arte di alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea.

AIDS , o sindrome da immunodeficienza acquisita, è una sindrome causata dal virus dell’HIV.  Il contagio può avvenire se la persona viene a contatto con un soggetto infetto. La modalità di trasmissione può essere solo di tre tipologie: sessuale attraverso rapporti non protetti con un soggetto positivo; ematica, quindi con lo scambio di siringhe o condivisione di strumenti per l’uso di sostanze stupefacenti; verticale, se avviene tra madre e figlio, quindi durante la gravidanza, al momento del parto o durante l’allattamento al seno. Fortunatamente, questa ultima possibilità è rara da quando esiste la terapia antiretrovirale da somministrare alla madre durante la gravidanza e al neonato durante le prime 4-6 settimane di vita, così da ridurre drasticamente la possibilità di trasmissione.

Va sempre ricordato che non si trasmette l’HIV in alcun altra modalità. Non basta condividere oggetti o scambiarsi saliva, lacrime, sudore o urina. Il progresso in campo medico garantisce oggi una terapia efficace che consente di non trasmettere più il virus o ridurne significativamente la contagiosità. Anche se il numero dei decessi per AIDS continua a diminuire di anno in anno, grazie alle terapie antiretrovirali combinate, il Centro operativo AIDS (CoA) dell’Istituto superiore di sanità riporta che dall’inizio dell’epidemia AIDS, nel 1982, sono stati segnalati 71.591 casi e sono ben oltre 46 mila i soggetti deceduti soltanto in Italia. Nel 2020 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione è attribuibile a rapporti sessuali non protetti da preservativo, che costituiscono l’88,1% di tutte le segnalazioni. Se si guarda poi alla situazione mondiale, i decessi sono vicini ai 30 milioni.

Questa malattia ha subito sin da subito una forte stigmatizzazione sociale, portando i sieropositivi a vivere nella vergogna. Soprattutto negli anni 80, il contagio veniva collegato ad una serie di comportamenti considerati trasgressivi e promiscui. Nel bersaglio finivano facilmente le persone omosessuali e chi faceva uso di sostanze. Essere una persona omosessuale e malata di AIDS negli anni 80 significava essere un untore, per di più di una malattia “giudicata male”. Questo ha portato i contagiati a vivere in una stretta clandestinità. Fortunatamente, molti sono stati anche gli artisti che hanno preferito portare tutto questo nella propria arte.




AIDS nell’arte: Jack Smith e Robert Mapplethorpe

Uno dei primi artisti di cui vorremmo parlarvi è il re della scena underground newyorkese, Jack Smith. Nato nel 1932, esordisce come fotografo, ma poi si cimenta in vari campi. Smith è arte e performance vivente ed è ricordato come il padre della performance art statunitense. Ama spingersi ai limiti del possibile, sia nell’arte che nella vita privata. Nel pieno dell’esplosione dell’AIDS, frequenta assiduamente un cinema porno che è anche un celebre ritrovo omosessuale, pur consapevole dell’alto rischio di contagio. Finisce infatti per ammalarsi, ma anche in quel momento, sconcerta tutti. L’AIDS nell’arte di Smith è concepita in modo romantico, è una specie di sogno, perché conseguenza di una vita spesa nella bellezza della libertà.

Smith muore nel 1989 e lo stesso anno l’AIDS uccide anche un altro artista, il fotografo Robert Mapplethorpe. Il merito di questo grande personaggio sta nell’aver elevato ad arte ciò che secondo la morale comune andava nascosto. Le foto, che ritraggono principalmente soggetti sadomaso della scena omosessuale contemporanea e nudi maschili,  sono considerate scandalose. Tra le sue opere più famose, c’è la serie di foto intitolata Portfolio X, dove l’artista mette in primo piano pratiche sessuali e giochi erotici, superando qualsiasi tabù. Come scrive di lui il critico d’arte Adriano Altamira:

[…] l’operazione che sta dietro al mondo figurativo e all’imagerie di Robert Mapplethorpe è piuttosto trasparente: trasporre soggetti omoerotici nel territorio eletto e squisitamente formale della classicità, usare la natura morta come un genere allusivo, e infine fare del nudo – indifferentemente maschile o femminile – una forma di studio botanico.

Peter Hujar e David Wojnarowicz: fotografare l’estremo

Non si può parlare di fotografi americani senza citare il genio artistico di Peter Hugar, morto a causa dell’AIDS nel 1987. Hugar possedeva una straordinaria conoscenza delle tecniche fotografiche ed era in grado di catturare la piena essenza della sua contemporaneità, il degrado e persino la morte. I suoi ritratti in bianco e nero sono celebri in tutto il mondo. Rifiutò più volte di scendere a compromessi e per questo motivo la sua prima raccolta Portraits in Life and Death, pubblicata nel 1976, rimarrà anche l’unica. La sua arte è senza tempo e davanti ad essa lo spettatore si ferma e si commuove, come scrive Susan Sontag: “Amici e conoscenti con gli occhi umidi stanno in piedi, si siedono, si piegano e sembrano meditare sulla propria mortalità”.

Corre parallelamente a quella di Hujar l’arte del suo compagno, David Wojnarowicz. Artista e fotografo tutt’altro che convenzionale, anche lui cercò di focalizzare il suo obiettivo su questa terribile malattia, ma soprattutto sull’ancor più terribile indifferenza della società americana nei confronti dei malati di AIDS. Le sue opere mostrano ciò che non era da mostrare: la brutalità della vita passata in strada, gli effetti della malattia o la naturalezza di due uomini che fanno sesso.

Keith Haring e Felix Gonzalez Torres

Se all’inizio il nome di Keith Haring non vi dice niente, vi basterà digitare il suo nome su internet per capire che almeno una volta avete visto una sua grafica stampata da qualche parte. Il suo stile così riconoscibile divenne infatti un vero e proprio linguaggio universale. I personaggi disegnati da Haring sono stilizzati e bidimensionali. Figure cartonate piuttosto semplici che servono a comunicare messaggi immediati. Il grande merito di Haring sta proprio in questo: nell’aver ricercato per tutta la vita di sensibilizzare e fare prevenzione per l’AIDS in maniera semplice ed estremamente efficace. Come recita una sua stessa opera, silenzio è uguale a paura. Occorre informare, parlare, conoscere.

Felix Gonzalez Torres fu un artista davvero d’avanguardia. Anch’egli omosessuale e sieropositivo, racconta nelle sue installazioni l’amore struggente e vero con Ross che colorò la sua vita. Ross muore cinque anni prima di Felix e fu la sua musa ispiratrice, presente in ogni sua opera. Ad esempio, Torres posizionerà una montagna di caramelle, precisamente 80 kg di caramelle. Un peso di certo non casuale, visto che si trattava dell’esatto peso del suo fidanzato Ross. Questo mucchio di caramelle rappresenta il suo amore e lo spettatore è invitato a prendere una caramella, quindi un pezzo di Ross, fino a quando non rimane più nulla. Questa idea servì a Torres per avvicinare il pubblico  all’AIDS. Una società disumana che lascia morire un’intera generazione doveva avvicinarsi alla sofferenza di chi veniva a contatto con questo male. Quella della presenza-assenza è una costante in tutta l’arte di Torres. Un’altra opera importante è Untitled del 1991. L’artista in questo caso pone sulla scena un letto disfatto con l’impronta di due teste lasciate sui cuscini.

L’AIDS nell’arte è stata e continua ad essere un importantissimo mezzo di denuncia, ma anche un mezzo per avvicinare le persone. Conoscere per non aver paura e sentirsi parte di un’intera comunità, affinché il dolore del singolo diventi dolore di tutti.

Giulia Sofia Fabiani

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