Ah Benedetto Craxi
In un’intervista Gianni Amelio dichiara che Hammamet non nasce propriamente come un film su Craxi, bensì come un’allegoria: attraverso la vita di Craxi il regista ha voluto rappresentare un re caduto dal trono.
Restando nell’allegoria quello che più mi ha colpito del film è l’evidenza dell’artificio nel riuscito tentativo di nasconderlo. Si è voluto rendere Favino così simile fisicamente a Craxi che il risultato è stato un “IperCraxi”. Una sorta di realtà aumentata, ottima scuola per carità ma la finzione vibra suo malgrado e lascia il segno per tutto il film: Craxi è quasi un fantasma rallentato che recita con tempi diversi rispetto a chi non ha avuto bisogno di ore di trucco. Quel che ne esce è un dislivello narrativo tra Favino e tutto il resto del cast, una dissonanza – forse voluta – all’interno della quale il protagonista sembra quasi un ingombrante e onnipresente assenza.
Non siamo davanti a uno dei migliori lavori del regista ma l’eco mediatica – in alcuni casi montata ad arte – ha saputo ben sopperire alle mancanze.
L’allegoria del fantasma è però fortunosamente riuscita, non tanto nell’opera quanto nei risultati: così come Craxi-Favino è – potremmo dire – di un’evanescente pesantezza così è la figura di Craxi per la storia politica italiana.
Se da un lato Amelio lo definisce l’ultimo statista che abbiamo avuto, da un altro bisogna contestualizzare questa affermazione, facile preda di immotivati e maccheronici revisionismi; rispetto ad oggi qualsiasi figura del passato, con un minimo di rilievo culturale e politico, spiccherebbe senza sforzo se le venisse concesso spazio, e Craxi è stato rilevante per la storia di questo paese, e spesso lo è stato in negativo.
Lo si potrebbe definire l’ultimo dei vecchi e il primo dei nuovi, è stato il traghettatore verso “questo presente”, il primo a dare segni di un modo di concepire la politica in puro stile narcisistico e autoreferenziale, quindi deleterio e autoritario.
A ben vedere il partito socialista iniziò a dissolversi ben prima di Mani Pulite. Già negli anni 80, al massimo della sua ascesa, vi era una sua totale identificazione del partito con Craxi.
Nessuno avrebbe mai accostato Nenni o Pertini a quella compagine politica, anzi il solo pensarlo generava distonie, stonava e non poco; era difficile – se non impossibile – pensare che vi fosse una radice comune tra quei nomi e la creatura di Craxi. Ormai il PSI non aveva colore, né ideologia, ma si identificava totalmente con il suo segretario.
Come nel film, il fantasma Craxi aleggiava con tutto il suo peso con imperiosa e sorniona prepotenza, e da tempi non sospetti stava contribuendo in modo inesorabile a logorare definitivamente la politica italiana. Mani pulite fu solo un colpo di grazia lasciato in sospeso.
Ovviamente allora tutto questo sembrava un processo di modernizzazione del partito, uno stare al passo coi tempi, perciò fu visto come un’ottima cosa. La storia poi ci dirà tutt’altro, ma allora sul carro del vincitore ci salirono in tanti, forse troppi. Niente di nuovo sotto il sole.
Facendo la tara di tutti i revisionismi – familiari, politici o storici – il risultato resta lo stesso: il grande peccato di Craxi per Craxi fu Craxi; un abile politico che per mantenere la propria leadership accolse, caldeggiò, intensificò e portò a nuovi e più alti livelli il sistema di corruzione e clientelismo del paese senza rendersi conto che si era ormai agli sgoccioli. Un apparente primus inter pares tra voraci e rampanti parvenus, sia della politica che dell’ economia italiana.
Emblematici sono gli anni Ottanta: un apparente boom economico senza il “boom”, una costosissima finzione scenica, ma non per le tasche di amici e di amici degli amici le cui speculazioni rappresentano buona parte delle nostre difficoltà attuali sia a livello di debito che di credibilità.
Craxi fu il primo delatore di sé stesso, e non tanto perché scelse di “scappare” (possiamo girarla come vogliamo ma questo accadde) ma perché avrebbe potuto tenere il timone di questo paese in modo diverso quando ne ebbe la possibilità, invece preferì non solo aderire ad un sistema ormai marcio, ma ne accelerò e migliorò il metodo fino a farlo implodere del tutto.
Gli fu data anche una possibilità dopo, ma tutto il suo coraggio si fermò ad un discutibile “intervento storico alla Camera” nel quale in talleri disse solo “non sono solo io ma tutti, e se parlo qui crolla tutto”. Un minaccia che da allora abbiamo sentito da tanti ma che nessuno ha poi messo in pratica.
Di certo Craxi non fu il solo, anzi forse fu la prima vera autorevole vittima della moderna gogna mediatica ai suoi albori; ci venne facile identificare tutto il sistema con lui, ma di certo non fu il solo né tantomeno il primo. Ora però possiamo dire con immensa tristezza che non fu certo l’ultimo e, purtroppo, neanche il peggiore.
Quindi tendo ad evitare di scindere in modo così netto quell’epoca con quella presente, forse bisognerebbe iniziare a vedere una diretta discendenza tra “quei fantasmi” con i nostri: non può essere un caso che Berlusconi e Renzi tentino grossolanamente – è il solo modo che hanno – di rivalutare la figura di Craxi, anche loro sono pesanti fantasmi resistenti a qualsiasi esorcismo, e che non hanno neanche il buon gusto di espatriare