L’Africa medievale: perché ce ne siamo dimenticati?

Africa medievale

L’Africa medievale, un’epoca luminosa quanto dimenticata

Il Medioevo, l’età di mezzo, è da sempre considerato un periodo intermedio ma lunghissimo, nel quale nulla di grandioso sia accaduto, se non sciagure e tragedie. Un lunghissimo baratro nel quale le civiltà che vanno dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 alla scoperta dell’America nel 1492 è come appassita. I due eventi a margine, per quanto siano indubbiamente sconvolgenti, non hanno però portato solo rovina e distruzione. L’Europa medievale è sicuramente lacerata da guerre, oltre che da pandemie e morte. Il XII secolo però è, tra l’altro, il secolo che sancisce la nascita della lirica moderna, quella dei trovatori, le cui tracce  passeranno in Italia, imprimendosi nelle parole e poi nei testi che sono alla base della nostra poesia. Pensiamo per esempio alla Commedia dantesca e ai poeti che hanno fatto la storia della letteratura oltre che della lingua italiana. Un periodo complesso, indubbiamente controverso.

Un medioevo europeo… e l’Africa?

Se dunque quella idea di Medioevo come periodo buio è parziale, lo è ancor di più sotto un altro aspetto, spesso colpevolmente dimenticato. In quegli stessi anni, popoli non troppo distanti dal Mediterraneo vivevano un periodo straordinariamente luminoso, spento da secoli di oblio e colpevole oscurantismo.

Quella storia riguarda i popoli dell’Africa medievale, i quali vissero in questi anni una stagione aurea, letteralmente.

Nei manuali di storia l’Africa scompare in generale, o fa scarse apparizioni nell’epoca del colonialismo e delle conquiste, mai da protagonista. E ciò accade ancor di più nel Medioevo, paradossalmente nel periodo meno oscuro di tutti.

François-Xavier Fauvelle definisce la definisce epoca aurea, per la fortuna di cui godettero i popoli in questa fase, dovuta all’estrazione dell’oro, e al conseguente sviluppo commerciale. Le fonti sono scarse, ma esploratori e geografi arabi furono testimoni dello splendore che gli europei sembrano aver dimenticato. Perché è proprio a partire dagli scritti che la memoria di un popolo può trasmettersi a secoli di distanza.

E le fonti?

Le fonti europee, più tarde rispetto a quelle arabe, sono invece viziate da un sempre crescente pregiudizio razziale che contribuirà allo sviluppo delle successive ideologie razziste. Un pregiudizio che nasce e si sviluppa lì dove la diversità non viene accolta bensì respinta, e da possibilità di arricchimento e crescita, diventa invece veleno.

All’Africa medievale mancava la scrittura perché tra quei popoli era invece diffusa la trasmissione dei saperi per via orale, di poco aiuto per gli storici. Lì dove mancano fonti scritte, lo scavo deve andare può a fondo, in una vera e propria caccia al tesoro da riportare alla luce. Tali tracce non sono del tutto inesistenti, alcune infatti confermano i contatti commerciali che l’Africa orientale ebbe con la Cina, insieme alle cronache dei viaggiatori del XV secolo, a riprova dello scambio che avveniva in quelle regioni, nonostante la distanza culturale tra i popoli.

L’Africa medievale: alla scoperta di popoli e sovrani

Molti, dunque, i punti oscuri o ignorati della storia dell’Africa medievale. Tra questi, i numerosi sovrani a capo dei governi degli stati, oltre ai viaggiatori e cronisti dell’epoca, come Ibn Battuta, coevo del veneziano Marco Polo, il quale percorse il Medio Oriente e l’Africa narrandone le vicende, ma che non gode della stessa fama dell’europeo.

Mansa Musa fu invece imperatore del Mali e nel 1324 arrivò al Cairo. Fu lui a contribuire alla creazione del mito dell’oro africano, per la quantità di oro che condusse nella capitale egiziana.

Gli spostamenti tra le regioni erano possibili grazie a vere e proprie reti di carovane; i mercanti si spostavano, attraversando il deserto sui loro cammelli, contribuendo in questo modo allo sviluppo dell’economia. E lì dove il territorio permetteva la fioritura di civiltà, sorsero vasti e ricchi imperi; è il caso del Ghana, che non solo sfruttava la fertilità del terreno, bensì dovette la sua fortuna proprio sull’oro. Le terre ne erano ricche, e una volta estratto, veniva scambiato con le altre regioni. I commerci comprendevano anche lo sfruttamento dell’avorio e delle pietre preziose, oltre che di pellicce, scambiati con gli arabi.

Altri regni si estendevano lungo il corso dei fiumi Senegal e Niger, come quello del Mali e in seguito l’impero Songhai, a capo dei commerci nell’area a sud del Sahara.

Le regioni orientali invece, quelle che affacciavano sull’Oceano Indiano, commerciavano con gli stati orientali, grazie alla creazione di vere e proprie città portuali, dalla Somalia al Mozambico. Le città di Zanzibar e Mombasa, per esempio, erano provviste di case in muratura e vie allineate.

La diffusione dei saperi nell’Africa medievale

Anche l’impero di Gao, di religione islamica si ingrandì a poco a poco, fino ad imporsi sul fiume Niger conquistando la città di Timbouctou. Non solo commerci; la città infatti contribuì alla diffusione dei saperi grazie ai suoi sovrani che sovvenzionavano direttamente gli studiosi. Fondarono scuole, accademie e biblioteche, che contenevano testi in arabo o nelle lingue locali, oltre a traduzioni dei testi degli autori della classicità greca e araba. Tra gli studiosi ricordiamo Ahmad Baba cui oggi è dedicato un centro culturale per la conservazione dei manoscritti della città.

Perché tutto questo viene escluso dalla storia che conosciamo? Tutto ciò a favorire una visione parziale, a riprova del fatto che è facile far pendere il bilanciere da una parte, se l’altra viene oscurata e negata. Stereotipi e falsi miti prolificano, alimentati in favore dell’uomo bianco, che conquista e anzi addirittura educa il selvaggio. Tale oscurantismo dimostra quanto ancora oggi sia difficile accogliere la diversità come una ricchezza. A vincere, oggi come secoli fa, è la paura se la storia non diventa racconto collettivo e quindi storia di tutti i popoli.

Carmen Alfano

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