Africa, le guerre del futuro saranno per l’acqua

Le guerre del futuro saranno per l’Acqua. Conviene prepararsi. Entro il 2050, i conflitti per la gestione delle principali fonti idriche transfrontaliere potrebbero coinvolgere 920 milioni di persone. Particolarmente critica è la situazione in Africa, dove la competizione per il controllo delle risorse idriche sta preparando il terreno a conflitti, probabili e forse addirittura incombenti.

Le guerre del futuro saranno per l’acqua. Meglio prepararsi. D’altronde, con la crisi climatica che minaccia i già fragili ecosistemi e la sopravvivenza stessa dell’uomo sulla Terra, l’acqua e il suo controllo assumeranno un ruolo sempre più centrale nelle dinamiche geopolitiche fra gli Stati.

I conflitti per le risorse idriche sono parte integrante delle tensioni geopolitiche che investono da sempre territori e popolazioni. Attualmente, nel mondo, sono 4,4 miliardi le persone che vivono in bacini idrici transnazionali, condividendo l’acqua. Perciò, è molto frequente che l’uso di una risorsa sempre più preziosa, in un pianeta con la popolazione e la temperatura in costante aumento e con periodi di siccità sempre più frequenti, possa provocare tensioni che talvolta sfociano in veri e propri conflitti.

In 4000 anni di vita umana sul pianeta, i conflitti legati al controllo delle risorse idriche sono stati 1297.  Il più antico di cui si hanno notizie è datato 2500 a. C. e ha avuto luogo nella zona dell’attuale Iraq. In quel caso l’acqua  venne utilizzata per ragioni strategiche: Urlama, re dell’antica città stato di Lagash, fece deviare dei corsi d’acqua per lasciare a secco la città di Unma mentre era in guerra contro i Sumeri. Il più recente, invece,  è l’esplosione della diga di Kakhova, in Ucraina. Anche in questo caso, l’acqua è stata usata dai russi per ragioni strategiche,  allo scopo di impedire l’avanzata della controffensiva ucraina.

Cosa ci riserva il futuro

E per quanto riguarda il prossimo futuro, cosa ci aspetta? Per farsi un’idea di ciò che potrebbe accadere, conviene leggere il recente studio “Projecting conflict risk in transboundary river basins by 2050 following different ambition scenarios”, pubblicato  il 13 marzo scorso da tre ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam. Secondo la ricerca dell’università olandese, ripresa in sintesi dal sito The Conversationentro il 2050 potrebbero essere 920 mln le persone coinvolte in tutto il mondo in conflitti per l’acqua,  se non s’inverte la tendenza nella gestione delle risorse idriche.

Ad oggi, i casi di tensione più forti interessano i bacini idrici internazionali e i corsi d’acqua di notevole lunghezza e portata che attraversano più paesi. Nei casi più gravi, la posizione geografica degli stati all’interno del bacino gioca un ruolo rilevante, poiché i paesi che si trovano a monte sono in grado di condizionare la quantità e la qualità del flusso di acqua che raggiunge i paesi a valle.


Secondo lo studio, se i governi di quei paesi che attingono allo stesso bacino, rafforzassero la propria collaborazione e facessero di più per prevenire e mitigare i conflitti, le persone coinvolte potrebbero scendere a 536 milioni.Le guerre del futuro saranno per l'Acqua Un numero comunque enorme, soprattutto se si considera che la ricerca valuta questa ipotesi come la più ottimistica e perciò la più difficile da attuare. In una situazione intermedia, e dunque più realistica, la conflittualità potrebbe interessare 724 milioni di persone.

La situazione in Africa

L’area del Nord Africa insieme al Medio Oriente, la cosiddetta Mena (Middle East and North Africa), è quella dove gli intrecci tra la storia dell’uomo e lo sviluppo delle tecniche di valorizzazione e uso dell’acqua hanno generato più frequentemente conflitti per il controllo delle risorse idriche di superficie.

Dei centinaia di bacini idrici transfrontalieri del mondo, ben 66 si trovano in Africa. In alcuni, come quello del Nilo, il rischio conflittuale è altissimo a causa dell’aumento della popolazione e del maggior utilizzo delle risorse idriche per lo sviluppo delle attività umane che vanno ad impattare sui cambiamenti climatici, alimentando un circolo vizioso senza vie d’uscita.

I paesi più interessati da queste dinamiche sono Eritrea, Etiopia, Rwanda, Uganda, Kenya, Somalia, Burkina Faso, Mauritania e Niger. A questi seguono Mozambico, Malawi, Benin e Togo con un rischio appena minore. In tutti questi stati l’aumento strategico dell’offerta idrica, anche a seguito della realizzazione di grandi progetti spesso finanziati da stati stranieri, ha spostato il problema dall’ambito interno a quello sovranazionale, con conseguenze demografiche, politiche ed economiche spesso imprevedibili.

Le acque “agitate” dei Paesi sul Nilo

I bacini africani maggiormente esposti ad un rischio conflittuale si trovano tutti nella regione del Corno d’Africa e dell’Africa orientale, che è anche quella che ha subìto negli ultimi anni gli effetti maggiori del cambiamento climatico. Il primo è ovviamente il bacino del Nilo, che comprende undici paesi: Burundi, Repubblica democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Eritrea, Kenya, Rwanda, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda.

Il secondo è quello dei fiumi Juba-Shebelle che interessa Etiopia e Somalia. Infine, il bacino del lago Turkana che si estende tra Etiopia, Kenya e Sud Sudan. Buona parte dei paesi elencati sono già caratterizzati da un’instabilità grave e di lunga durata, a cui andrebbe, dunque, a sommarsi anche una crescente competizione per le risorse idriche.

Negli ultimi anni, le possibilità di incrementare il volume complessivo di acqua disponibile, attraverso la valorizzazione di nuove fonti, si sono ridotte sempre di più mentre la percentuale di prelievi in alcuni casi ha superato il 100% della dotazione di risorse idriche rinnovabili. Se a questo primo aspetto, si aggiunge la prodigiosa crescita demografica che ha spinto i governi di molti paesi a diversificare i propri sistemi produttivi senza adeguare, tuttavia, i piani industriali ed economici, il quadro è completo.

Meno dighe e più diplomazia

In Africa, la Geopolitica dell’acqua ha consentito ad alcuni paesi di esercitare un controllo esclusivo sulle risorse idriche di superficie come nel caso dell’Egitto. Storicamente, il paese nordafricano ha monopolizzato le risorse idriche del bacino del Nilo, facendo leva su diritti storici considerati non negoziabili e precludendo agli altri paesi la realizzazione di progetti in grado di limitarne i prelievi.

La politica messa in atto dall’Egitto ha avuto, tra i tanti effetti, quello di aumentare drasticamente l’insicurezza alimentare in diversi paesi a valle del Nilo, accrescendo l’insofferenza e l’odio etnico tra le popolazioni vicine.  A tal proposito, lo studio condotto dai ricercatori olandesi ha ipotizzato anche quali scenari sarebbero in grado di produrre un ulteriore aumento delle tensioni tra i paesi del bacino del Nilo. Ad esempio, cosa accadrebbe se sul corso del Nilo venissero costruite nuove dighe? Evenienza, questa, tutt’altro che improbabile come ben testimoni la costruzione della Grande diga del Millennio, in Etiopia, in corso dal 2011 e non ancora terminata.

Le conclusioni dei tre ricercatori sono chiare: la costruzione di nuove dighe, alimenterebbe un gioco a somma zero che provocherebbe la diminuzione dell’acqua disponibile per i paesi che si trovano a valle di questi sbarramenti. La ricerca sottolinea, infatti, la necessità di agire subito per rinforzare i trattati e le pratiche di cooperazione tra i paesi dei bacini idrici transnazionali. L’obiettivo primario resta quello di impedire il deterioramento dei rapporti diplomatici, allontanando  i conflitti probabili e forse addirittura incombenti,  per individuare una strategia di cooperazione tra coloro che condividono lo stesso bacino idrico.

Tommaso Di Caprio

 

 

Exit mobile version