Dopo averne parlato nel discorso sullo stato dell’Unione di metà settembre, in questi giorni in cui si sono susseguiti sbarchi e naufragi di migranti nel canale di Sicilia, il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker ha rilanciato la necessità di nuovi investimenti da effettuare nel continente africano.
“In Africa ci sono 60 milioni di profughi, molti di più che alla fine della seconda guerra mondiale; sono degli infelici che mettono tutte le loro speranze nella capacità dell’Ue di accoglierli. Ma noi non possiamo, evidentemente, come diceva Michel Rocard, ricevere tutta la miseria del mondo”. E ancora, in un altro passaggio del discorso, ha aggiunto “Perciò noi, la Commissione, abbiamo proposto di estendere verso l’Africa il piano per gli investimenti. Stiamo dunque lanciare un Piano Juncker per l’Africa che, se gli Stati membri lo accompagnano, ciò che non è evidente, potrebbe mobilitare in Africa 88 miliardi di euro di investimenti. Se l’Europa non investe in Africa, l’Africa verrà in Europa”. Un discorso chiaro, che non lascia spazio ad interpretazioni e sottigliezze. L’Africa è a pochi km di mare dall’Europa, ma sembra lontana anni luce per via delle condizioni miserabili in cui versa gran parte della sua popolazione.
Guerre civili, dittature, siccità, terrorismo, corruzione dilagante, epidemie. Può bastare un piano di investimenti, per quanto ben definito e articolato, ad invertire quella rappresentazione in terra dell’inferno dantesco che è ancora – nonostante i progressi dell’ultimo decennio – il continente africano?
A parere di chi scrive è molto difficile che le cose possano cambiare anche solo nel medio periodo. Infatti, bisogna considerare sempre a chi verrà affidato materialmente il denaro degli investimenti pubblici e privati. Dove gran parte delle nazioni africane sono rette da feroci e fantasmagoriche dittature, o da democrazie fragili come il vetro soffiato, chi azzarderebbe mai ad investire? Con quale certezza, oltre a quella di star facendo un salto nel buio?
Gli unici autori del proprio riscatto possono essere solo gli africani stessi, cercando di eliminare i regimi corrotti e sanguinari che ne governano gran parte degli stati e lottando attivamente contro l’ignoranza e la superstizione che ancora aleggiano come spettri nelle savane e nelle campagne. Solo dopo, una volta acquisito un minimo di stabilità in tal senso, si potrà progettare un piano di investimenti pubblici e privati internazionali che punti a creare valore in Africa e non a depredarla come si è fatto finora.
Ma se non si effettuerà questo primo, fondamentale passaggio, tutte le parole ed anche gli eventuali soldi investiti nel continente rischieranno di finire ad ingrassare le tasche di dittatori, politici corrotti e signori della guerra vari, magari attraverso qualche società off-shore come quelle venute fuori dai Panama Papers o dai più recenti Bahamas Leaks.
Lorenzo Spizzirri