Aderire a gruppi estremisti violenti per trovare lavoro

Aderire a gruppi estremisti violenti per trovare lavoro

 

Aderire a gruppi estremisti violenti è per molti abitanti dell’Africa subsahariana l’unico modo per avere lavoro e sussistenza.

L’ultimo rapporto del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) mostra come per molti africani del continente subsahariano aderire a gruppi estremisti violenti sia l’unico modo per procurarsi mezzi di sussistenza. Lo studio fa parte di una serie di report complementari volti a descrivere il modus operandi e l’evoluzione nel tempo di gruppi terroristici globali, quali Al Qaeda e Daesh.

L’UNDP accoglie operatori delle Nazioni Unite, della società civile, degli Stati membri, del settore privato e del pubblico. Come parte del Programma globale di prevenzione dei conflitti, costruzione della pace e istituzioni responsabili (CPPRI), il progetto è improntato dal 2014 sulla prevenzione dell’estremismo violento (PVE) e la reintegrazione dei combattenti terroristi in più di 40 Paesi.

 

Il report nel dettaglio

Il report si basa su 2.200 interviste fatte a ex-miliziani di gruppi islamisti operanti in Africa subsahariana. Le regioni e i Paesi presi in esame sono il Sahel, il bacino del Lago Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e il Mozambico settentrionale. Tra le reclute volontarie, un quarto ha citato le opportunità di lavoro come motivo principale per aderire a un gruppo estremista, mentre il 40% ha dichiarato di averlo fatto per bisogno urgente di mezzi di sussistenza. Secondo il report, la capacità di reclutamento dei gruppi armati è aumentata del 92% tra il 2013 e il 2021 e nel 2022 l’Africa subsahariana ha iniziato a ospitare nuovi centri globali del terrorismo. 




Anche se ogni zona coinvolta ha una propria storia, esistono alcuni denominatori comuni legati all’aumento diffuso dell’adesione al terrorismo. Il principale è il fatto che i gruppi estremisti violenti raramente compaiono in luoghi ben serviti da sistemi di governance stabili e prevedibili. Infatti, questi penetrano in nuove aree sfruttando le rimostranze dei cittadini e operano dove la presenza di povertà è già forte. Spesso stringono alleanze di convenienza con altre reti criminali, contrabbandieri o milizie locali. Alcuni di loro si organizzano in modo simile alle strutture governative lì dove lo stato è assente. In questo modo non agiscono solo attraverso la violenza e il terrore, ma anche promettendo servizi essenziali, quali protezione, giudizi rapidi sulle controversie e fonti di reddito.

 

L’Africa subsahariana: un territorio difficile

Quella degli stati dell’Africa subsahariana è una situazione complessa. La varietà delle condizioni ambientali e territoriali che investe queste zone rende lo sviluppo economico estremamente proibitivo. A causa del cambiamento climatico, alcune di queste regioni sono sempre più soggette a siccità e desertificazione. Questa situazione, insieme alla cattiva gestione del territorio, rende difficile il mantenimento di uno stile di vita tradizionale. Infatti, a risentirne maggiormente è il settore agricolo, un comparto fondamentale dell’economia subsahariana. L’assenza di sezioni industriali sufficientemente produttive si scontra inoltre con la costante crescita demografica, non riuscendo a garantire sostentamento e occupazione a tutti gli abitanti. 

 

Il ruolo dei gruppi estremisti violenti

Una problematica endemica in molti paesi dell’Africa subsahariana sono i conflitti. Guerre civili, colpi di stato e minacce del terrorismo favoriscono la presa di potere da parte di élite ristrette. Spesso si tratta di gruppi militari che accentrano col terrore il potere politico e impediscono la costruzione di istituzioni solide e di un’economia libera. La storia dei gruppi terroristici di queste zone coinvolge il progressivo insediamento dei gruppi jihadisti di Al-Qaeda e Daesh. 

Fondata formalmente sul finire degli anni Ottanta in Sudan, l’organizzazione jihadista di Al-Qaeda si è radicata in Africa subsahariana a partire dal 2000.  La diffusione ha avuto luogo attraverso la radicalizzazione di tribù nomadi. Dalla regione del Sahel al Mozambico, questi gruppi estremisti violenti hanno avuto il controllo dei traffici illeciti di armi, di droga e di esseri umani. Sebbene l’obiettivo originario fosse di unificare il potere in maniera strutturata, il gruppo di Al-Qaeda si è configurato come un’organizzazione di coordinazione e promozione di diverse formazioni jihadiste regionali. Infatti, la sua infiltrazione non è riuscita a fondere la spinta ideologica alle rivendicazione politiche tribali, ma si è delineata come un’unione dettata dalla convergenza degli interessi delle zone coinvolte. 

 

Dai gruppi di Al-Qaeda a Daesh

Oltre alla campagna anti-terroristica globale che ha preso forma dopo l’11 Settembre 2001, il primato qaedista in Africa subsahariana è stato messo in discussione dalla diffusione dei gruppi terroristici di Daesh, anche chiamato Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) o Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). 

Oggi la competizione tra il vecchio e il nuovo modello jihadista in questi Paesi è forte. Una delle aree maggiormente esposte è il Sahel, i cui territori sono controllati dallo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) e del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (JNIM). Nel nord-est della Nigeria e nel bacino del Lago Ciad l’attivismo di Boko Haram si affianca a quello dello Stato Islamico in Africa occidentale (ISWAP). Gruppi più recenti hanno preso forma nel 2019 tra il nord-est della Repubblica Democratica del Congo e il Mozambico

 

La presa dei gruppi estremisti violenti sulle debolezze dell’Africa subsahariana

Il modello jihadista incentrato sulla governabilità e sulla creazione di realtà para-statali ha consentito ai gruppi Daesh di adattarsi ai contesti locali in modo radicale. Questi sono riusciti a unificare le sezioni più povere ed emarginate di popolazione sotto un’identità unica e fluida. Un esempio è l’etnia Kanuri in Nigeria che ha identificato la jihad come mezzo per contrastare la disuguaglianza economica e sociale rispetto all’etnia dominante Hausa e ai cristiani reinsediati al nord del Paese dopo la Guerra del Biafra.

La pandemia Covid-19 ha aggravato queste problematiche. Infatti, le misure di contenimento sono state spesso sfruttate come giustificazione per reprimere il diritto al dissenso e altre libertà. Questi fattori hanno portato a una crescita del senso di insicurezza e di sfiducia delle comunità di fronte allo stato. In molti Paesi politicamente instabili la situazione era già complessa a causa dell’assenza di sistemi di welfare capaci di assistere i cittadini. Inoltre, spesso i servizi d’istruzione non sono abbastanza sviluppati da dare agli abitanti le competenze necessarie a costruirsi un futuro diverso da quello dei genitori. Per molti giovani l’alternativa all’emigrazione è arruolarsi in gruppi estremisti violenti.

 

Le proposte del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite 

I civili continuano a pagare il prezzo dei conflitti armati, delle violenze sessuali e di genere e delle gravi violazioni dei diritti umani. Secondo l’UNDP, per combattere queste tendenze è necessario un approccio teso a comprendere i modi in cui queste comunità vengono spinte ad arruolarsi. Il fine primario è scoprire soluzioni basate sull‘agency delle persone, tese a creare una maggiore resilienza delle comunità per concepire alternative positive all’odio e alla ferocia che i gruppi estremisti violenti propongono

 

Stella Canonico

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