Addio a Mino Raiola. Pochi minuti fa la famiglia ha comunicato dai suoi canali social ufficiali che il procuratore sportivo più iconico del XXI secolo è spirato dopo lunga malattia.
Si potrebbero dire tante, tantissime cose su di lui, su cosa ha rappresentato per il calcio degli anni 2000 in particolare, su quanto è stato decisivo, centrale, importante, scomodo, narcisista, chiacchierato, detestato o invidiato.
Mino fin da giovanissimo si fece strada nel mondo dell’imprenditoria dimostrando talento e astuzia, in particolare era interessato al mondo del calcio, anche per la profonda passione personale.
Già negli anni 90, operava come mediatore in alcuni degli acquisti più iconici della Lega Serie A, per quanto senza rinunciare alle altre sue attività di imprenditore.
Lo fece però a fine anni 90, diventando agente FIFA, fondando società di rappresentanza, seguendo anno dopo anno nomi del calibro di Pavel Nedved, Zlatan Ibrahimović, Mario Balotelli , Urby Emanuelson, Paul Pogba, Matthijs de Ligt, Kostas Manolas e tanti altri.
Forbes solo due anni fa lo aveva messo al quarto posto a livello economico tra i procuratori più influenti, ma nessuno, nessuno ha avuto la sua capacità di rubare la scena, di essere a modo suo anche un apriscatole per il nuovo calcio, quello fatto di trasferimenti ultramiliardari, per giocatori che inseguono come oggi è sotto gli occhi di tutti, contratti via via sempre più ricchi.
Certo, si può anche pensare che Mino sia stato la causa di una malattia che ha avvelenato il nostro pallone. Ma sarebbe un errore.
Mino Raiola ha semplicemente fatto il suo mestiere, e nessuno dei suoi più importanti assistiti lo ha mai mollato. Fatevi due domande. In questo era dotato di un talento stratosferico, e di certo non è che chi sia venuto prima o dopo di lui fosse uno che cercava di tenere i propri assistiti fermi per amore della maglia o della curva.
I calciatori negli ultimi quarant’anni, sono sempre più diventati aziende con le gambe, il romanticismo è morto ma non è stata colpa di Mino, è il “sistema”, la società, il mondo schiavo del turbocapitalismo (non è un termine inventato da “Fuffa” Fusaro ndr) ad averlo deciso.
Tutto è volatile, tutto è acquistabile o vendibile, tutto è sempre al rialzo. Sul serio pensato che Raiola abbia inventato tutto questo? No. Lui ha solo seguito la corrente, non ci fosse stato lui ci sarebbe stato qualcun altro a dare il contributo al circo impazzito che oggi vede armadi con ferri da stiro venire acquistati nella Premier League come fenomeni per 87 milioni di sterline, salvo poi dimostrarsi delle ciofeche. Ma non è Mino o qualche suo collega a farlo, loro sono degli agevolatori e basta, in fondo non vogliono cambiare l’anima del calcio, solo la propria vita e quella dei propri assistiti.
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Non sono in fondo figure diverse dai broker di Wall Street, come loro sono chiamati alla visibilità solo se vogliono e Mino voleva, gli piaceva, perché no del resto?
Non sono stati i broker a distruggere il concetto di economia virtuosa (se mai è esistito) a renderci schiavi di banchieri e conglomerate. Sono state quest’ultime a distruggere il nostro mondo, uomini potenti ed oscuri, sovente invisibili. Non sprecate ora il vostro tempo per stupide frasi di odio o battutine da idioti sulla sua salma.
Mino Raiola non era un criminale, non era un gangster, non era un mafioso, era un procuratore, un mediatore, era un uomo d’affari. Tenete il vostro odio per altri, per chi ammazza e uccide in giro per il mondo, ultimamente l’elenco è bello nutrito e corposo. Tenetelo per chi evade centinaia di milioni di euro distruggendo il nostro paese, per chi non paga i proprio lavoratori in regola per farsi la barca o per il politici che si fanno corrompere, per chi se la prende con i più deboli sempre e comunque.
L’odio è una cosa particolare, verrebbe da dire preziosa, e Mino non lo meritava da vivo, non lo merita ora che non c’è più, né certamente la moglie Roberta e i figli che lo piangono.
Il calcio non è finito nella pattumiera di petrodollari arabi, russi e cinesi per Mino. Vi è finito perché questo è il destino di ogni universo capitalistico: svendersi per 30 denari in più.
Giulio Zoppello